Lello Naso, Il Sole 24 Ore 3/1/2014, 3 gennaio 2014
PER UNA VOLTA NON METTIAMO IL BASTONE TRA LE RUOTE
La storia del rigassificatore di Trieste è uno degli emblemi delle troppe giravolte decisionali a cui ci ha abituato il nostro Paese. Un’opera considerata strategica per le forniture di energia dell’intero sistema industriale e localizzata in un’area in cui le imprese pagano più che in altre zone il deficit competitivo con i concorrenti che stanno appena al di là del confine. Un’opera autorizzata e poi messa in standby per le proteste di ambientalisti e di una larga fetta della cittadinanza, occorre dirlo, per i rischi di inquinamento e sicurezza di cui durante tutto l’iter autorizzativo nessuno s’era accorto. Un’opera, per di più, affidata a una multinazionale estera, la spagnala Gas Natural, che molto probabilmente dovrà rinunciare all’investimento.
In un solo colpo si è fatta carta straccia di tre delle azioni necessarie al rilancio del Paese: ripianare il deficit energetico, creare le condizioni per rendere le nostre imprese competitive, attrarre gli investimenti delle multinazionali estere. Azioni di cui tutti ci diciamo convinti fin quando le opere non arrivano in casa nostra. Vale a Trieste e a Brindisi per i rigassificatori, in Val di Susa per la Tav, in Sicilia per gli elettrodotti.
La buona notizia di Trieste è che un gruppo di investitori privati prova a risolvere il problema o almeno una piccola parte di esso. Con risorse proprie e senza chiedere sovvenzioni pubbliche, le imprese vogliono costruire un piccolo rigassificatore capace di servire un consorzio di aziende. L’unico aiuto che gli investitori chiedono, è che nessuno, per una volta, metta il bastone tra le ruote. Politici e ambientalisti stavolta sembrano convinti della bontà dell’opera. Le premesse per portare a buon fine l’investimento ci sono. Almeno fino a comitato contrario.