Sergio Romano, Corriere della Sera 3/1/2014, 3 gennaio 2014
STORIA DELL’AUSTRIA MODERNA DALL’IMPERO ALLA NAZIONE
A proposito dei sudtirolesi che si sentono tedeschi, a Someda, in Val di Fassa, ossia nel Trentino, ho visitato un forte austriaco e un piccolo museo della Grande guerra. Qui ho trovato un manifesto dove veniva spiegato che l’Impero austroungarico comprendeva popoli di lingue diverse, fra cui l’italiano. La popolazione della zona aveva combattuto con gli austriaci perché «l’irredentismo era un fenomeno cittadino e borghese». Mi domando quanti cittadini del suddetto impero attendevano che l’Italia venisse a
«liberarli».
Antonio Germano
Riguardo alla sua risposta sul sentimento austriaco o tedesco degli altoatesini, vorrei aggiungere a questo punto: chi si sente allora austriaco?
Guido Fava
Cari lettori,
Nel Parlamento di Vienna, prima della Grande guerra, vi erano deputati, fra cui Alcide De Gasperi, che chiedevano maggiore autonomia per le regioni dell’Impero di cui erano i rappresentanti. I movimenti indipendentisti crebbero soprattutto nell’ultima fase del conflitto, quando il principio dell’auto-determinazione, proclamato nel quattordici punti del presidente americano Woodrow Wilson, divenne uno degli obiettivi a cui gli Alleati si sarebbero ispirati dopo la vittoria. Nell’aprile del 1918 vi fu a Roma, in Campidoglio, un Congresso a cui parteciparono delegazioni polacche, cecoslovacche, romene e jugoslave con la presenza di molti intellettuali e uomini politici italiani. Il Congresso chiese alle potenze vincitrici di rispettare il principio di nazionalità e poté contare sull’appoggio del Corriere della Sera .
Per la piccola Austria, centro di un Impero scomparso e priva di una forte identità nazionale, la soluzione desiderata da una grande maggioranza dei suoi abitanti e quella più conforme alla filosofia politica dei vincitori, sarebbe stata il congiungimento (Anschluss) con la Germania. Ma i vincitori temevano che l’Unione avrebbe rafforzato lo Stato tedesco e la proibirono espressamente in un articolo del Trattato di San Germano, firmato il 10 settembre 1919. Dimostrarono così che le buone intenzioni e i buoni principi si applicano agli amici, non agli ex nemici.
Quel divieto ebbe l’effetto di amareggiare gli austriaci e di spianare la strada a Hitler quando nel marzo del 1938 decise che il momento dell’Anschluss era giunto. Non è possibile comprendere l’entusiasmo con cui i viennesi accolsero Hitler senza tenere conto dell’amarezza e dell’indignazione che il divieto degli Alleati aveva suscitato in una larga parte della società austriaca. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il ricordo dell’errore compiuto indusse gli Alleati a trattare l’Austria con maggiore discernimento. Per evitare nostalgie pangermaniche evitarono di considerarla come un Paese sconfitto e le dettero uno status simile, per molti aspetti, a quello che venne di fatto riservato all’Italia. Restava il problema dell’occupazione quadripartita, ma anche l’Unione sovietica di Nikita Krusciov aveva un forte interesse all’indipendenza dell’Austria e ritirò le sue truppe quando il Trattato di Stato del 1955 ne fece un Paese neutrale. La neutralità durante la Guerra fredda, l’ingresso nell’Unione Europea dopo la caduta del muro di Berlino e l’arrivo di nuove generazioni hanno avuto l’effetto di assicurare all’Austria un ruolo internazionale, di rendere la sua esistenza sempre meno precaria e di creare un sentimento nazionale. Credo che esista ormai una identità austriaca e che oggi sia possibile sentirsi austriaci.