Alessandro Gonzato, Libero 3/1/2014, 3 gennaio 2014
«CON MIO PADRE IN COMA PER VENTICINQUE ANNI ESPERIENZA IMPAGABILE»
«Io per primo dico che non è giusto far soffrire gli altri, però il calvario di papà mi ha fatto acquisire dei valori inestimabili. Non so se senza tutta questa sofferenza oggi li avrei. Ho imparato tante cose da lui anche se io e mia sorella lo vedevano sempre dormire. È stata un’esperienza impagabile».
Tre giorni fa Giovanni Mattia Ederle, 26 anni, imprenditore, ha dato l’ultimo saluto al padre Francesco, morto a 59 anni dopo averne passati quasi 25 in coma a causa di un ictus.
Per 13 anni era stato accudito a casa, dalla moglie, dai figli e dagli infermieri. Poi era stato trasferito nell’abitazione della madre. Quindi gli ultimi mesi li aveva vissuti in un centro per malati in stato vegetativo permanente.
Dell’uomo che era prima della malattia - amante della natura, dei vigneti, dei cavalli - il figlio non ricorda niente, era troppo piccolo. Sa solo ciò che gli hanno raccontato i parenti e gli amici. La famiglia Ederle, a Verona, è molto conosciuta. Francesco Ederle ha fondato un agriturismo tra i più conosciuti della provincia, il San Mattia. Domina la città dall’alto delle Torricelle, le colline che cingono da un lato la città. Gli Ederle sono anche proprietari di altri terreni e immobili, di una cantina vinicola e di un villaggio turistico «la Tenuta delle Ripalte» sull’isola d’Elba.
Come si cresce con un padre in coma per 25 anni?
«Lui è sempre stato presente. È stato a casa mia fino a che facevo le scuole medie. Era accudito giorno e notte. Era lì con noi. Era come se dormisse sempre, però c’era».
Quando ha saputo che papà non si sarebbe mai svegliato?
«Mi è stato detto subito. Sono cresciuto vedendolo tutti i giorni. La cosa mi è stata chiarita fin da bambino».
In casa parlavate con lui?
«Soprattutto nonna Anna Maria, sua mamma, che è venuta a mancare l’anno scorso a quasi cent’anni. Io, mia madre e mia sorella più piccola, Camilla, molto meno. Nonna aveva una marcia in più. Pregava ogni giorno accanto al figlio. Lei ci ha dato molta forza per affrontare la situazione».
Ma hai mai sperato che papà si riprendesse?
«È molto bello sognare, ragionare con i “se” e con i “ma”. Però bisogna rimanere coi piedi per terra. Nonna aveva sempre una risposta per questi discorsi. Rispondeva che tutto era nelle mani di Dio. Al di là di quanto uno sia religioso, è una situazione nella quale non puoi farci nulla se non accettarla e trarne il meglio».
E per lei cos’è stato il meglio?
«L’insegnamento che ne ho tratto. E cioè che la vita è troppo breve e bisogna viverla. Non bisogna pensare troppo al passato, ma al presente e al futuro nel miglior modo possibile. In questo senso, nonna è stata per me, mia mamma e mia sorella una maestra di vita. Bisogna trovare un lato positivo anche nei drammi inspiegabili come quello di mio padre. La nostra famiglia, nelle difficoltà, si è molto rafforzata. Non lo so se senza quello che ci è capitato, oggi saremmo così uniti».
Come si vivono le feste e i compleanni con un padre in coma nella stanza accanto?
«Quando accetti la condizione, non sei più senza tuo padre, perché ti rendi conto che lui è una cosa che ti porti dentro e che, volendola vedere dal punto di vista religioso, ti guarda dall’alto, magari veglia su di te. Che è il tuo angelo custode. Lui non è mancato in nessuna occasione. Era semplicemente una figura diversa da quella che comunemente si intende per papà».
Lei crede in Dio?
«A differenza di nonna, in questo momento sono molto distante dall’essere un cattolico praticante. Però tutto quello che ti viene trasmesso sotto forma di parabola o insegnamento religioso, in realtà lo puoi vivere comunque, cogliendone lo spirito profondo che sta alla base».
Cos’ha provato quando suo padre è morto?
«Oltre alla tristezza e al dolore, c’è stata anche tanta serenità, la stessa con cui mia nonna ci ha preparati tutti prima di andarsene ».
Giovanni, lei nel lavoro ha ripercorso le orme di papà. Era quello che sognava?
«Sì, assolutamente. Non è stata una scelta forzata. Ho studiato Enologia all’università, anche se come mio padre non ho terminato gli studi, e poi ho cominciato a dedicarmi a ciò che amo da sempre. Sto facendo quello che avrebbe fatto lui se avesse avuto più tempo. Una delle soddisfazioni più grandi è che molti, quando vedono quello che facciamo io e mia sorella, ci dicono che gli sembra di rivedere nostro padre».
Avrebbe preferito che papà smettesse di soffrire prima?
«Non saprei cosa risponderle. Me lo chiedono in tanti. Secondo me è impossibile dire “io staccherei la spina”. Anche perché bisogna fare tutte le distinzioni del caso. Ad esempio mio padre era attaccato a una macchina che lo aiutava a nutrirsi, ma respirava da solo».
Quanto le manca suo padre?
«Anche se vorrei dirle il contrario, non posso dire di sentire la mancanza di mio padre, perché non l’ho mai conosciuto direttamente e non puoi sentire la mancanza di qualcuno che non conosci. Il vuoto che sento, al limite, può essere collegato a quello che papà avrebbe potuto rappresentare nella mia vita, non ad altro, perché io, di lui, non ricordo nulla, anche se grazie a lui ho imparato tantissimo ».