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 2014  gennaio 03 Venerdì calendario

LA BCE È NATA STORTIGNACCOLA


Che il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e quello della Bundesbank tedesca, Jens Weidmann, abbiano opinioni diverse e spesso contrastanti sulle questioni economiche, non è una novità. Di recente, Draghi ha parlato con il settimanale tedesco Der Spiegel, mentre Weidmann lo ha fatto con il quotidiano popolare Bild. Il primo ha cercato di rassicurare i tedeschi, soprattutto quelli che temevano che «un italiano potesse distruggere la Germania», e ha sottolineato di avere rispettato con scrupolo il proprio mandato alla Bce: «L’inflazione è bassa e l’incertezza è diminuita». Per contro, Weidmann ha detto che «l’euro è ancora in fase di risanamento, per cui sono necessari perseveranza e volontà forti per evitare che la malattia esploda nuovamente. Si potrebbe trattare di una calma ingannevole».

La polemica tra i due, più presunta che reale, sarebbe stata incomprensibile, se non fosse giunto un commento del ministero tedesco delle Finanze, Wolfgang Schauble, convinto che Draghi non abbia «violato il suo mandato». Ecco la parola chiave: «il mandato». Per i tedeschi il compito della Bce («il mandato») è di tenere sotto controllo i prezzi e l’inflazione. Punto e basta. Quanti affermano (e in Italia sono in tanti a farlo, compresi gli autori del recente appello del Manifesto) che la Bce dovrebbe impegnarsi anche nel rilancio dello sviluppo e nel contrastare la disoccupazione, per il governo di Berlino sono in errore. Anzi, si tratta di una vera e propria eresia che viola i Trattati. Lo sviluppo e la creazione di lavoro, sottolineano a Berlino, sono compiti di esclusiva competenza dei governi dei singoli Paesi, non della Banca centrale europea. È scritto nei Trattati europei, e per Berlino guai andare oltre.

In Europa ci sono 25 milioni di disoccupati. Ma biasimare per questo l’egoismo tedesco, serve a ben poco. Draghi, onestamente, non poteva fare di più contro la crisi per una ragione molto semplice: la Bce è una banca centrale nata zoppa, un mostriciattolo istituzionale. A volerla zoppa fin dalla nascita sono stati gli stessi Trattati europei (Maastricht nel 1993, Lisbona nel 2007) che le vietano espressamente (articolo 123) di prestare soldi ai governi dei Paesi dell’Unione. Si tratta di un caso unico al mondo. Un’anomalia che sa di follia economica, su cui poco si discute e nulla si fa non solo in ambito politico, ma anche in quello culturale e mediatico. Da secoli, le banche centrali sono state istituite per svolgere soprattutto precise funzioni: finanziare lo Stato, creare la quantità di moneta necessaria per il buon funzionamento dell’economia, ripagare i debiti giunti a scadenza, finanziare la spesa sociale e promuovere lo sviluppo e l’occupazione.

È così che funzionano le Banche centrali nel resto del mondo, in testa la Federal Reserve negli Stati Uniti, la Banca centrale in Inghilterra, quelle del Giappone e della Svizzera. Ma la Bce - incredibilmente - fa eccezione, perché così hanno stabilito i Trattati europei: di fatto, può prestare soldi soltanto alle banche private. Una clausola ferrea, imposta dalla Germania, che ha un terrore storico dell’inflazione (Weimar) e della finanza pubblica allegra. Una rigidità che non ha risolto nulla, ma provocato guai enormi.

Basta fare un confronto tra Usa ed Europa. Per contrastare la crisi economica, da tempo la Federal Reserve inonda ogni mese il mercato con 85 miliardi di dollari. Grazie a questa alluvione di dollari (quantative easing), la moneta Usa si è progressivamente svalutata, e questo ha contato non poco sulla ripresa dell’economia americana e sulla creazione di nuovi posti di lavoro.

Al di qua dell’Atlantico, la Bce di Mario Draghi (anche se l’avesse voluto) non poteva fare altrettanto, poiché gli è vietato prestare soldi ai Paesi maggiormente colpiti dalla crisi dei debiti sovrani. Per questo, l’unica iniziativa che Draghi ha potuto intraprendere contro la crisi, senza violare «il mandato», è stata quella di prestare ingenti risorse alle banche private (mille miliardi di euro in due anni, di cui 293 miliardi all’Italia), al tasso dell’1 per cento, nella speranza che poi queste risorse affluissero all’economia reale, alle imprese e alle famiglie.

Ma così non è stato. Anzi, le banche dell’Eurozona si sono tenute i soldi della Bce per investirli comodamente in titoli di Stato e per pagare gli enormi debiti che avevano contratto con le speculazioni finanziarie degli anni precedenti, debiti privati che in quasi tutti i Paesi europei avevano raggiunto e superato le dimensioni dei debiti pubblici. Di riflesso, mentre l’abbondanza di dollari in circolazione provocava la svalutazione della moneta Usa, l’euro finiva per rivalutarsi nonostante il perdurare della crisi economica nell’eurozona, una crisi aggravata dalle politiche di austerità imposte dalla Germania a causa di una visione egemone e non solidale del proprio ruolo in Europa.

Pochi dati aiutano a capire come e perché l’azione della Bce, condizionata da Berlino, sia servita soprattutto per evitare il collasso dell’indebitato sistema bancario, comprese le grandi banche tedesche. Secondo dati del Fondo monetario, a fine 2011 le banche tedesche dichiaravano debiti pari al 98 per del pil tedesco; i debiti di quelle francesi superavano il 150 per cento del pil nazionale, in Spagna il rapporto si collocava a quota 111 per cento, in Portogallo al 150 per cento, mentre l’Italia si collocava su una quota simile a quella tedesca (98 per cento), indice di una situazione bancaria tutt’altro che in salute, anche se lontana dal pessimo record delle banche inglesi, con un debito pari a 5 volte e mezzo il pil britannico (547 per cento).

Di fronte a questi dati a dir poco disastrosi, nascosti colpevolmente sotto il tappeto, l’ipotesi che la Bce possa svolgere un ruolo decisivo per superare la crisi economica e rilanciare lo sviluppo e l’occupazione non ha alcun fondamento, purtroppo. La verità nuda e cruda è che finora la Bce ha soltanto cercato di evitare il collasso del sistema bancario, che per troppo tempo aveva scherzato con il fuoco speculando sui derivati e indebitandosi oltre ogni immaginazione. Il disastro non è ancora scongiurato.

Ma quel che è peggio è che né i governi europei più colpiti dalla crisi (Italia in testa) né l’Unione europea sembrano avere l’intenzione di intervenire sui nodi veri del problema: all’Eurozona serve al più presto una Bce che abbia tutti i poteri di una vera banca centrale (come la Fed e la Banca d’Inghilterra) e faccia da prestatore di ultima istanza; serve una Bce che quando serve possa svalutare l’euro (cosa che oggi Draghi non può fare); serve una separazione netta tra le banche commerciali e le banche d’investimento sull’esempio della «Volcker rule» Usa, perché mai più le banche-casinò possano giocare sui derivati con i risparmi dei clienti, mettendo a rischio il futuro di un’intera generazione. Purtroppo, nulla di tutto questo sembra profilarsi all’orizzonte, nulla di simile è scritto nell’agenda futura dell’Unione europea. L’unica ipotesi che gira nelle stanze dell’euroburocrazia è di rafforzare i compiti della vigilanza bancaria in tutta l’Eurozona affidandoli alla Bce. Di fatto, una chimera.

Colpa della solita Germania? Oppure anche la signora Merkel è succube delle indebitate banche tedesche, specie di quelle troppo grandi per fallire? La seconda ipotesi sembra la più vera. Non a caso l’economista Paolo Savona (autore dell’appello per riconsiderare l’euro, pubblicato da ItaliaOggi il 31 dicembre scorso) ha sottolineato, in una recente conferenza, che oltre la metà degli asset della Deutsche Bank, la prima banca tedesca, è composta da derivati. E se le premesse sono queste, si giustifica sempre di più il rifiuto da parte degli euroscettici di una politica di austerità che, imponendo tasse e sacrifici all’intera Europa, alimenta soltanto il Fondo europeo salvabanche, e - come ha spiegato Riccardo Ruggeri ieri su ItaliaOggi- uccide i ceti produttivi che producono il pil, mentre salva le categorie parassite (banche, burocrati e politici) che lo consumano.

Invertire la rotta non sarà facile né possibile se prima non vi sarà una diffusa consapevolezza sui veri responsabili del disastro economico (le banche e i politici loro complici). In questa battaglia, i giornali liberi e indipendenti hanno, e avranno sempre più, una missione storica. ItaliaOggi, e non da ora, sta facendo la sua parte.