Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Bossi e Berlusconi sono oggi un pochino più lontani di ieri. Bossi, parlando con i giornalisti alla Camera, ha detto che l’unica via maestra è quella delle elezioni. «Ci si va se ci sono le dimissioni di Berlusconi oppure se c’è un voto contrario sulla fiducia». Significa che la Lega potrebbe non votare la fiducia al governo, un’ipotesi su cui si fantastica da qualche giorno? «Ci sono anche queste possibilità». E che accadrebbe se Napolitano, una volta caduto il governo, varasse in qualche modo un governo tecnico? «Le forze politiche hanno una massa d’urto. Pensate se io e Berlusconi portassimo 10 milioni di persone a Roma».
• E Berlusconi?
Berlusconi ieri s’è mosso su un’altra linea. Riunito l’ufficio di presidenza – a cui ha partecipato il redivivo Scajola e non hanno partecipato, polemicamente, i finiani Ronchi, Urso e Viespoli –, ha annunciato che dovere suo e del partito è governare. «In questo momento serve stabilità, non le elezioni. Garantiamo il governo del fare». Quindi i due, quanto a dichiarazioni, non sono al momento sulla stessa linea: uno sembra volere le elezioni, l’altro no. La conferenza dei capigruppo ha stabilito che il presidente del Consiglio venga alla Camera a riferire tra il 28 e il 30 settembre. Il presidente del Consiglio non parla ai deputati da più di due anni. Ieri s’è ventilata la possibilità che dopo il discorso non ci sia nessun voto, un’ipotesi piuttosto strana e che comunque Gasparri (che però sta al Senato) ha corretto, dichiarando che dopo le dichiarazioni ci sarà la fiducia.
• Dalle parole di Bossi sembra che il presidente del Consiglio potrebbe anche andare direttamente al Quirinale a dimettersi. Magari basandosi su qualche dichiarazione dei finiani resa durante il dibattito.
Un’ipotesi che circolava ieri è che il Cavaliere, durante il suo discorso, attacchi il presidente della Camera in qualche maniera che vorrebbe essere definitiva. Sarebbe naturalmente un atto grave, che renderebbe ufficiale il conflitto istituzionale tra presidenza del Consiglio e presidenza di Montecitorio. Un modo per alzare il livello dello scontro con i finiani potrebbe anche essere quello scelto ieri dall’ufficio di presidenza del Pdl: nel corso dei prossimi sette giorni i finiani che stanno al governo saranno convocati dai tre coordinatori del partito «a singoli colloqui» al termine dei quali «si decideranno i provvedimenti più opportuni», cioè gli si potrebbe chiedere di lasciare le poltrone di ministri e sottosegretari. Ieri, durante la conferenza dei capigruppo, Cicchitto ha nuovamente sostenuto che Fini, dopo quanto è successo, non può continuare a presiedere Montecitorio. Fini «ha preso atto» e ha aggiunto: «Non considero necessario dare alcuna risposta in questa sede». Il presidente della Camera da ieri non è più iscritto al gruppo del Pdl, ma a quello di Futuro e libertà. Quanto alla possibilità che Berlusconi non chieda la fiducia alla Camera e vada direttamente a dimettersi, beh, penso di no. Per una ragione istituzionale e per una ragione politica.
• La ragione istituzionale?
La costituzione formale e quella materiale (cioè la prassi) dicono che Napolitano rimanderebbe senz’altro il Cavaliere alle Camere per verificare l’esistenza o meno della sua maggioranza. Poiché i finiani voteranno di sicuro la fiducia, solo un’astensione della Lega potrebbe far cadere Berlusconi. Che è quanto ha ventilato Bossi ieri.
• E la ragione politica?
Berlusconi pensa che chi provocherà le elezioni, pagherà un prezzo in termini di consenso. I giornali parlano di “cerino in mano”. L’unico che a quanto pare non ha paura di scottarsi è ancora Bossi. I sondaggi gli stanno dicendo che, votando adesso, potrebbe prendere fino al 15%, un’enormità.
• E se poi il centro-destra senza Fini vincesse alla Camera ma non vincesse al Senato?
Un’ipotesi concreta. Forse per questo Napolitano cercherà in ogni modo – con una procedura che gli è assolutamente consentita – un’altra maggioranza. Di Pietro ieri ha auspicato un governo di 90 giorni, che faccia la nuova legge elettorale e una nuova legge sul conflitto di interessi. La legge sul conflitto di interessi mi pare improbabile (in qualche modo, i politici in conflitto d’interessi sono decine). Per la legge elettorale, si deve forse dare un qualche credito al ragionamento di Bersani: con la crisi, Berlusconi non avrebbe più il pieno controllo dei suoi e una qualche diaspora del Pdl potrebbe verificarsi. Inoltre la Lega è forse interessata al ritorno di un sistema maggioritario. Il partito di Bossi, nell’uno contro uno nei collegi del Nord, è fortissimo. E potrebbe non esser troppo debole neanche in quelli del Centro. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 9/9/2010]
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