Federica Bianchi, L’espresso 9/9/2010, 9 settembre 2010
L’IMPERO DEL FUMO
Una terra verde, fertile, romantica. Dove le colline terrazzate a riso si dissolvono in specchi d’acqua azzurri, da cui rocce scure con sembianze umane si ergono verso il cielo come gli dei del mondo delle leggende.
È lo Yunnan, una delle regioni più belle e più amate da generazioni di artisti e scrittori cinesi. Oggi celebre destinazione turistica, questo lembo di terra al confine con il Vietnam è anche il cuore di una delle industrie più letali del Paese. Qui è fabbricata la maggior parte delle sigarette cinesi, destinate a 350 milioni di cittadini, quasi il 29 per cento della popolazione: circa un terzo di tutti i fumatori del pianeta.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il tabacco uccide cinque milioni di persone l’anno, di cui un milione solo in Cina, dove il cancro ai polmoni è in ascesa del 465 per cento dal 1980, ed è responsabile di un decesso su quattro. "Un giovane adulto su tre è destinato a morire a causa delle sigarette", spiega da Pechino Sarah England, responsabile per la Cina dell’iniziativa Liberi dal tabacco lanciata dall’Oms: "Se il Paese non invertirà la tendenza, tra dieci anni i morti per fumo saliranno a due milioni".
A stare ai dati di un’indagine pubblicata lo scorso agosto dall’Oms insieme all’americano Cdc, il Centro per il controllo delle malattie, la situzione è rimasta invariata dal 2002, nonostante gli impegni assunti da Pechino in questi anni. In un Paese in cui sei dottori su dieci fumano regolarmente, le sigarette sono state bandite dagli ospedali soltanto lo scorso 31 maggio. Soprattutto, non è stata ancora implementata una politica nazionale di restrizione del fumo nei luoghi pubblici. A dire la verità la scadenza ultima prevista dalla Convenzione quadro sul controllo del tabacco sarebbe il prossimo gennaio, ma questa è ormai considerata una data irrealistica. "Il problema è che non esiste una separazione tra chi dovrebbe emanare una politica di controllo del fumo e l’industria del tabacco", accusa England: "Lo Stato ha tutto l’interesse a diffondere le sigarette". Le società del tabacco fanno parte del Monopolio di Stato, direttamente controllato dal ministero dell’Industria e della Tecnologia informatica. Lo scorso anno la China National Tobacco, che con 520 mila dipendenti, 500 marchi e 183 fabbriche, è la più grande società di tabacco al mondo, ha ottenuto un totale di 76 miliardi di dollari di incassi tra tasse e utili. Gli utili da soli (14,3 miliardi di dollari) superavano di gran lunga quelli della multinazionale Phillip Morris, che ne aveva dichiarati "solo" 6,3.
Non c’è da meravigliarsi dunque che l’industria del tabacco con gli occhi a mandorla sia la maggiore del pianeta, "da sola più grande di quella dei successivi sette paesi messi insieme", spiega da Washington Susan Lawrence, responsabile della Cina per la Campagna per bambini senza tabacco. L’India e il Brasile detengono rispettivamente il secondo e il terzo posto, ma in entrambi i casi le bionde impacchettate sono solo un decimo di quelle cinesi.
Il 40 per cento della produzione nazionale arriva dallo Yunnan. "L’economia della provincia dipende dal tabacco", spiega England: "E siccome in tutto il Paese è ormai l’unica coltivazione agricola soggetta a tassazione, il governo locale ha tutto l’incentivo a promuoverla". Nel cuore della regione si cela agli occhi dei profani Yuxi, la capitale mondiale della sigaretta, sede della società Hongta, tra i gerarchi del tabacco cinese, tanto influente da avere costruito addirittura un museo per celebrare l’importanza del fumo nella storia del Paese. In questa regione sono arrotolate quasi la metà dei 2 mila e 300 miliardi di sigarette prodotte annualmente in Cina. Ben dieci miliardi di stecche. Qui migliaia di contadini rinunciano alla coltivazione della terra in cambio dei 1.200 euro annuali per l’affitto del suolo. Molti di loro lavorano anche come operai in quelle aziende di cui sono locatori: rispetto alla media nazionale, offrono salari e benefit competitivi.
La storia del tabacco in Cina è antica. Risale a 400 anni fa, quando fu introdotto dai mercanti portoghesi che frequentavano le coste delle Filippine e del Giappone. Ben presto le piante si diffusero in tutto il territorio meridionale, e con loro i diversi modi di fumarne le foglie. Il più comune è stato per secoli la pipa, soprattutto perché offriva agli artigiani la possibilità di creare oggetti preziosi che l’aristocrazia feudale ricercava come simbolo di status.
Ma all’inizio del secolo scorso Shanghai, da sempre per il mondo il portone d’ingresso in Cina, ha trasformato un’abitudine di pochi in un fenomeno di massa con il lancio delle bionde. Giunte da Occidente, sbarcarono nell’Impero di Mezzo solo nel 1905, quando la società British American Tobacco vi aprì una filiale. Nel giro di due anni, complice una campagna promozionale furibonda, le vendite superarono il milione di unità e Shanghai divenne la sofisticata capitale del fumo cinese. Quello che per secoli era stato un lusso di pochi si trasformò prima nel vizio preferito della borghesia commerciale, poi in un indispensabile rituale sociale che ancora oggi, 80 anni e due rivoluzioni più tardi, fa parte della cultura popolare maschile. Il primo passo di un incontro di affari è l’offerta di una sigaretta al proprio partner, subito seguita dal gesto cortese di accendergliela. E se un uomo del popolo è in cerca dei buoni auspici di un politico è ormai prassi che gli porti in regalo una stecca di Panda o di Zhonghua, le marche più pregiate. Esistono poi le bionde da distribuire agli invitati durante i matrimoni. Chiamate Double Happiness, ovvero "della Felicità matrimoniale", sono avvolte nei loro cartoni rossi e dorati, i colori della fortuna e del successo. Tradizione vuole che lo sposo durante il pranzo di nozze saluti gli invitati tavolo per tavolo con un brindisi di baijiu, la grappa cinese, e che la sposa accenda loro una sigaretta. E non importa che il pranzo si tenga alle 11 di mattina. La sigaretta non ha orario, un po’ come il caffè in Italia e il bicchiere d’acqua in India. È uno di quei gesti di benvenuto che è sempre gradito.
La sigaretta cinese non ha sofferto nemmeno delle barriere sociali. Mao Zedong e Deng Xiaoping andavano fieri del loro vizio. Mao apprezzava le americane 555 prodotte dalla British American Tobacco e non disdegnava le locali Zhonghua. Si era addirittura fatto arrivare dallo Yunnan degli operai specializzati perché lavorassero in un laboratorio dedicato alle esigenze della nomenclatura. Deng, il leader che nel 1979 invitò i cinesi ad arricchirsi, adorava le Panda, sigarette fabbricate solo con la punta delle foglie di tabacco, dall’esorbitante prezzo di 90 euro a stecca.
È proprio l’ubiquità della sigaretta ad avere messo in allarme l’Oms. "Questa secolare assuefazione del Paese merita lo stesso livello di attenzione che ha avuto l’epidemia della Sars", spiega Michael O’Leary, il rappresentante dell’Oms in Cina: "Le condizioni croniche costistuiscono la maggior parte del fardello sanitario in Cina, e il tabacco non solo è la principale causa di morte, ma è anche quella più prevenibile".
Invece, il fumo tra i giovani è in continua espansione. L’unica singolare eccezione è rappresentata dalle donne. Mentre oltre il 53 per cento degli uomini fuma, solo il 2,4 per cento del genere femminile ha assunto il vizio. Svariate le ragioni. Innanzitutto la concezione confuciana della donna, che relegandola a un ruolo di secondo piano le toglieva il privilegio di condurre affari e, dunque, di fumare. Poi il ricordo amaro delle ragazze facili della Shanghai anni Venti: la pubblicità del tempo le raffigurava con una sigaretta in bocca e un uomo straniero al fianco, un’accoppiata difficile da digerire nel Paese ultranazionalista di oggi. Infine, l’immagine "macho" legata alla gestualità della sigaretta diffusa tra i giovanissimi. In un recente episodio del popolarissimo show televisivo "Se non sei sincero, non disturbare", in cui 25 giovani donne danno i voti a un potenziale fidanzato sulla base della sua presentazione orale e di un video filmato sul posto di lavoro, una ventenne ha scelto un ragazzo soltanto perché il suo modo di fumare le sembrava "terribilmente maschile ed eccitante".
Non è detto che un tale divario tra abitudini maschili e femminili duri a lungo. Secondo recenti sondaggi del "China Daily", il quotidiano di partito in lingua inglese, sono sempre più numerose le giovani ragazze che si avvicinano alla sigaretta. Come ha confessato una quattordicenne al "Washington Post": "Fumare è figo, mi aiuta a studiare e d’estate tiene pure lontane le zanzare".