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 2010  settembre 09 Giovedì calendario

RISCHI E BENEFICI DELL’INCESTO REALE


Nel 1820, arrivando alle Hawaii, il missionario Hiram Bingham scoprì con sgomento che gli indigeni erano dediti all’idolatria, ballavano l’hula e, nella famiglia regnante, praticavano l’incesto. La condotta dei reali non sconvolgeva altrettanto gli hawaiani: nelle isole, commenta la storica Joanne Carando, l’incesto era un privilegio esclusivo della famiglia reale e in quanto tale "non solo era accettato ma perfino incoraggiato".
Di fatto, se in tutte o quasi le culture l’unione tra fratelli o tra genitore e figlio è stata considerata tabù, in molte società come l’antico Egitto, il Perù degli Inca e talvolta l’Africa Centrale, il Messico e la Thailandia, i membri della famiglia reale sono sfuggiti al divieto. E se le famiglie reali europee evitavano l’incesto tra fratelli, molte di loro, fra cui gli Hohenzollern di Prussia, i Borboni di Francia e la famiglia reale britannica, hanno sposato spesso dei cugini. Anche gli Asburgo di Spagna, al potere per quasi due secoli, sposavano spesso parenti stretti. La dinastia ebbe fine nel Settecento con la morte di Carlo II, un sovrano afflitto da tali e tante patologie che cominciò a parlare solo a quattro anni e imparò a camminare a otto; il re aveva anche difficoltà a masticare e non riuscì ad avere figli.

I problemi fisici di re Carlo e di Tutankhamon, figlio di due fratelli, mettono in evidenza perché l’incesto è un tabù pressoché universale: la sovrapposizione dei geni può essere controproducente. In media, due fratelli hanno per metà gli stessi geni, come succede a genitori e figli. I genomi di due primi cugini coincidono per il 12,5 per cento. L’accoppiamento fra consanguinei può aumentare il rischio che dei geni recessivi dannosi, specie se uniti ripetutamente per generazioni, compaiano insieme nella prole, aumentando le probabilità di causarle problemi di salute o di sviluppo: forse la palatoschisi parziale e il piede equino per Tutankhamon, o la bassa statura e l’impotenza per Carlo.

Se anche ne sapevano qualcosa, i vari membri delle famiglie reali hanno preferito ignorare questi potenziali effetti negativi. Perché? Secondo Walter Scheidel, docente di antichità classiche alla Stanford University, uno dei motivi è che «l’incesto li distingue dagli altri». Questa pratica si verifica soprattutto nelle società in cui i regnanti godono di un potere enorme e non hanno altri pari che gli dei, e poiché questi si sposano fra loro, i reali ne seguono l’esempio. Inoltre, l’incesto protegge il patrimonio regio. Sposare un familiare garantisce che il sovrano dividerà ricchezze, privilegi e potere solo con persone con cui è già imparentato. In società dominanti e centralizzate come l’antico Egitto o il Perù degli Inca questo può significare circoscrivere la cerchia degli accoppiamenti ai familiari stretti. In società in cui esiste una sovrapposizione di culture, come l’Europa del secondo millennio, può significare invece sposare qualche componente della famiglia allargata, proveniente da un altro regime, per creare alleanze e mantenere il potere fra parenti.

E i rischi, benché concreti, non sono assoluti. Anche l’alto tasso di sovrapposizione genetica che si crea nella prole nata dall’unione tra fratelli può portare a un maggior numero di figli sani che di figli malati. E la ricchezza della famiglia reale può aiutare a compensare un mediocre stato di salute:
Carlo II visse molto meglio (e probabilmente più a lungo, essendo morto a 38 anni) che se fosse nato contadino. Un re o un faraone può anche mettersi al riparo dai rischi dell’incesto guardandosi attorno. Ad esempio, il sovrano inca Huayna Capac (1493-1527) sposò una sorella ed ebbe con lei un figlio, Huàscar; ma tramandò il potere anche a un altro figlio, Atahualpa, partorito pare da una compagna. E il re Rama V di Thailandia (1873-1910) generò più di 70 figli, alcuni nati dall’unione con sorellastre e i più procreati con decine di compagne e concubine. Un sovrano può scegliere di trasferire ricchezze, istruzione e perfino potere politico a molti figli senza badare alla condizione sociale della madre. Un genetista direbbe che così offre ai propri geni una molteplicità di strade per il futuro.

Tutto ciò può sembrare venale, ma a volte questi legami nascono dall’affetto. Il missionario Bingham scoprì che Kamehameha III continuò per anni ad andare a letto con la principessa Nahi’ena’ena, sua sorella. E i due lo fecero, dice la storica, perché si amavano.