Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 09 Giovedì calendario

RITORNA LA PERNACCHIA E BOSSI RESUSCITA L´INSULTO SENZA PAROLA - A

un giornalista che gli faceva presente come Gianfranco Fini non si sarebbe dimesso dalla presidenza della Camera, ieri pomeriggio, davanti a una selva di microfoni, il ministro Bossi ha risposto con una pernacchia.
E qui, con l´aria che tira nei palazzi del potere, e il continuo sfoggio di volgarità che ormai prevale non solo nei moduli espressivi dei protagonisti, ma anche nel dibattito che essi suscitano tra intellettuali e giornalisti, si potrebbe anche mettere punto. Oppure si potrebbe buttarla «in caciara», appunto; o invece accogliere il versaccio con scrupolo e serietà, nel caso pure nobilitandolo seguendo l´illustre e antica tradizione della commedia dell´arte: dalle esibizioni di Totò, con l´ausilio del dorso o del palmo della mano, alla teoretica di Eduardo ne L´oro di Napoli; fino all´indimenticabile sequenza de I vitelloni in cui Alberto Sordi, curiosamente intabarrato, in piedi a bordo di un´automobile, di lì a poco ahilui destinata a fermarsi, ecco sì: «Lavoratoriii!» e Sordi fa vibrare sonoramente la lingua accompagnando e rafforzando il richiamo con il gesto dell´ombrello.
Esiste infatti la questione della pernacchia, allegra o triste che possa risuonare sulla scena pubblica nel tempo del dominio degli spettacoli politici. Ma forse esiste anche una questione Bossi, a suo modo densa di interrogativi: e non è un modo di dire.
Perché la pernacchia, inutile scandalizzarsi, ha da tempo una sua agibilità politica. Pur grottesca e dapprima interstiziale, ma l´ha conquistata. Nel 1993 fece addirittura notizia che Occhetto, allora leader del Pds, la evocasse senza pertanto eseguirla, per giunta - guarda guarda - all´indirizzo di Bossi. Il quale mesi prima gli aveva detto: «A Paperetto gli vado addosso, ci passo e ci ripasso sopra sgommando».
E vabbè. Il salto acustico, comunque, era già avvenuto nella Prima Repubblica e si deve al focoso ministro della Sanità Donat Cattin, nel corso di una agitatissima sua visita alle inquinatissime popolazioni della Val Bormida. Accolto da un uragano di fischi, dapprima se li prese, poi ringhiò che gli avevano rotto i cosiddetti e infine, salito in automobile, strinse la mano a imbuto e lasciò partire la prima (forse) storica pernacchia.
Senza mano, per la verità, ma con la medesima, allegra voluttà di offendere un certo sindaco di Venezia, Antonio Casellati, si rivolse in municipio ai consiglieri comunali dc. Con residuo pudore, i giornali provarono a scrivere che il primo cittadino della Serenissima aveva fatto "maldestre boccacce". E tuttavia quella forzosa insonorizzazione segnalava l´avvio di una qualche legittimità.
Gli annales dello scherno meriterebbero una casistica più diligente. Ma senza mettere limiti all´abbondanza di versacci a livello locale e periferico, si rammenta che nell´anno 2000 Clemente Mastella inaugurò la pernacchia al tg1 delle 20. Il fatto che fosse rivolta al segretario del Partito popolare europeo, nonché genero di Aznar, che era mezzo arabo e di cognome faceva Agag, proiettò il lancio mastelliano su un livello internazionale, pressoché definitivo. Per rafforzarne il messaggio, l´uomo di Ceppaloni lo caricò di preziosi arcaismi dato che a suo dire la pernacchia era di derivazione sannita e così via, scavando nei primordi italici.
Ma il punto delicato riguarda Bossi, che non è sannita, ma sempre più spesso a livello di comunicazione appare decisamente fuori controllo. La cosa singolare è che tale manifesta condizione contribuisce ad alimentare il mito della sua energia, del suo genio, della sua infallibilità politica. Ma intanto lui continua a esprimersi a colpi di silenzi, occhiatacce, sbuffi, brontolii. Ora fa il dito medio, due volte in dieci giorni (tra parentesi: fu la sua prima reazione rispetto all´ipotesi di elezioni anticipate); ora mostra i muscoloni; ora fa braccio di ferro, ora molla allegri cazzotti, ora alza spade, ora fa pure la pernacchia.
Non è mica tanto normale; e ancora meno che tutto questo venga accolto come oro colato. Il dilemma è quello solito: se ci fa o se ci è. In modo più problematico: se la pernacchia rientri nel novero di una studiata evoluzione, o se sanzioni il superamento della parola, la fine del logos, il suo smarrirsi in degradazione sonante, rumore ormai senza più continenza né fiducia né niente.