Mario Platero, Il Sole 24 Ore 9/9/2010, 9 settembre 2010
OBAMA: PIÙ TASSE SUI RICCHI
La proposta di baratto è sul tavolo: una misura fiscale pro business da quasi 200 miliardi di dollari in ammortamenti immediati degli investimenti in cambio di un aumento delle tasse per il 2% della popolazione americana, per tutti coloro che guadagnano più di 250mila dollari all’anno. La proposta è di Barack Obama, l’ha lanciata ieri da Cleveland, in Ohio, nel suo secondo intervento economico della settimana per scongiurare il pericolo di un "double dip" e per sostenere la crescita e l’occupazione: «Le tasse per i più ricchi non sono una punizione – ha detto il presidente confermando che su questo punto non potrà cedere – il problema è che non possiamo permetterci un conto da 700 miliardi di dollari in dieci anni per favorire coloro che già stanno molto bene? ma sono pronto a rendere permanenti i tagli per i più poveri?». Un primo passo negoziale dunque. Anche perché, sul piano simbolico, Obama ha pronunciato il suo discorso da Cleveland, la città di John Bohener, il leader e forse il prossimo presidente della Camera se i repubblicani vinceranno a novembre. Così, dietro gli attacchi al suo avversario «?che dice sempre no anche quando è in gioco l’interesse del paese?» e che la settimana scorsa ha chiesto a Obama di «licenziare la sua intera squadra economica» che avrebbe gettato secondo lui il paese sul lastrico, il presidente tende in modo concreto la mano sottoscrivendo per la prima volta la possibilità di dedurre fra il 2010 e il 2011 tutti gli investimenti aziendali.
Ma non sarà l’ennesimo discorso populista come quello di ieri, in cui Obama ha rivendicato il merito delle sue azioni, dalla riforma sanitaria al pacchetto di stimoli per l’economia a mobilitare il grande centro, dove si decidono i giochi politici ed economici del paese. Anche perché proprio mentre il presidente parlava da Cleveland, da Washington la Federal Reserve diramava il Beige Book, il bollettino che dà periodicamente uno spaccato dell’andamento dell’economia nelle varie zone regionali del Paese con un messaggio di fondo:l’America è in frenata. Invece di crescere, come ha rivendicato ieri Obama, secondo la Fed l’economia ristagna. Invece di creare nuovi posti di lavoro nel settore manifatturiero l’America sta perdendo la partita competitiva sul piano produttivo con India e Cina persino nel settore hi-tech, che ormai assume molto meno di quanto facesse fino a un anno fa. Invece di avere un tasso di disoccupazione in forte calo, il grosso dei nove milioni di americani che hanno perso il lavoro nella crisi 2007/2008, continuano a restare disoccupati. «Una crescita economica a passo lento è il segnale più rappresentativo delle condizioni generali della congiuntura », si legge nel documento.
Ed eccoci dunque al confronto politico. I repubblicani vogliono prolungare per due anni gli sgravi fiscali di Bush così come sono. I democratici sostengono che prolungare gli sgravi solo per la classe media consentirebbe una ripresa del consumo, mentre gli sgravi fiscali per i ricchi non avrebbero alcun effetto sulla domanda di beni. E insistono su programmi di spesa, come quello avanzato lunedì dalla Casa Bianca per altri 50 miliardi di dollari in investimenti infrastrutturali che i repubblicani non vogliono. Ma chissà, forse potrebbero cedere sulle tasse per il 2% più ricco della popolazione, a patto che i risparmi- circa 40 miliardi di dollari all’anno - vadano in nuovi tagli fiscali per la classe media e non in spesa pubblica che non aiuta l’economia nel medio termine. La parola a questo punto spetterà agli elettori il prossimo 2 novembre. Il limite di Obama? Lo esprime con chiarezza Matt Bai sul New York Times di ieri: «Il presidente ha perduto un’occasione che capita raramente, sfruttare davvero un crisi per favorire la crescita. Il suo errore? Aver delegato la dicrezionalità di spesa troppo al Congresso che ha fatto dei potenziali investimenti carne di porco». Ma questo Obama, prima delle elezioni, non potrà ammetterlo mai.