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 2010  settembre 09 Giovedì calendario

IL BANCHIERE DELLA LEGA


Alla fine, perché sono i dettagli a fare la differenza, a convincere il Senatur della sua fede padana, non è stato il ministro di Silvio, ma il ministro di Dio. Così, più che Giulio Tremonti poté infatti don Stefano, parroco di Bedero Valcuvia, Varese, che dopo aver chiesto aiuto e soldi a Umberto Bossi per la chiesa andata in fiamme, si era visto arrivare, in puro stile leghista assistenzial-territoriale, non solo il suddetto Bossi. Ma al suo fianco, convocato d’urgenza, anche Massimo Ponzellini, neo presidente della Banca Popolare di Milano, ("L’abbiamo nominato noi", aveva declamato il leader del Carroccio) quindi pronto a finanziare il restauro di sacrestia, campanile e, crepi l’avarizia da sportello, pure l’acquisto dell’organo andato in fumo. Davvero una prova del fuoco, è il caso di dirlo, per lui primo esemplare di banchiere del Po, "uno dei nostri", continua a dichiarare urbi et orbi Bossi che quando si fissa, si fissa, e ora è la volta di Ponzellini, tanto da far baluginare, a fine agosto, una sua possibile candidatura a sindaco di Bologna. Ma Ponzellini, che sorvola sull’affiliazione politica ("Faccio il presidente nell’interesse dei clienti dei soci e dei dipendenti"), non ci pensa proprio.
Nel futuro si spalancano ben altri scenari per uno come lui, 60 anni, presidente di Bpm ma anche di Impregilo, superconsulente economico del Vaticano (sono solo quattro) amico e protetto di Tremonti, quasi la sua ombra, capace di "fare baracca", come si diverte a dire in slang bolognese, con l’asettico Piero Gnudi presidente dell’Enel filo Udc come con l’eccitato ministro Roberto Calderoli. A suo agio tra i maglioni in lana di capra del popolo del Po come nella Bentley guidata dall’autista con guanti che lo portava dalla casa di Ascot alla sede della Bers dove lavorava, può vantare, e certo è una bella novità per i suoi amici della Lega, perfino quattro quarti di nobiltà imprenditoriale: mobili Castelli, la famiglia d’origine, caffè Segafredo, per parte di moglie, "la Maria", tre figlie con lei, il suo nome tatuato sul polso al tempo del corteggiamento.
E pensare che agli esordi Ponzellini sembrava una pecora nera. Un simpaticone con l’aria un po’ frescona e la sindrome da party. Come dimenticare gli arrivi roboanti in ufficio in Ferrari, quella del nonno e del padre, molto old money direbbero gli squali della City, quando era l’assistente del paffuto presidente dell’Iri Romano Prodi? O le riunioni di staff sul mega motoscafo, anch’esso veloce e rumoroso come si conviene, praticamente un ufficio galleggiante oltre che una navetta Napoli-Capri, da amministratore delegato di Sofin? Negli anni, invece, di passo in passo, si è rivelato un uomo accorto che ha saputo riempire molto bene tutte le caselle. Ora sembra destinato a un ruolo chiave e principale nella partita della Lega per la conquista della finanza e delle banche del Nord. Anche perché la sua è stata la prima vera nomina, la prima scelta matura per il salotto buono del capitalismo espressa dal partito di Bossi. In fondo, un colpaccio per ambedue le parti. Per la Lega, vuol dire avere in portafoglio uno che conosce tutti quelli che si devono conoscere a est e a ovest di Suez (espressione dell’Aga Khan, che il nostro naturalmente conosce). Per Ponzellini, un nuovo, promettente porto da cui salpare con il vento in poppa.
I porti che ha frequentato e le porte che ha aperto e chiuso sono state tante. Ponzellini, come è chiaro, nasce con la camicia, che di questi tempi è diventata verde, naturalmente. Ma è stato il fato a portargli in dote un universo familiare così variegato da rappresentare un pozzo di legami e di rapporti davvero senza fondo. Suo padre, l’ingegner Giulio, oltre a essere uno dei sostenitori e finanziatori della Nomisma (di cui suo figlio diventerà direttore) di Romano Prodi, è stato per decenni potente Consigliere superiore della Banca d’Italia, dove sono passati Lamberto Dini, Cesare Geronzi, Mario Sarcinelli. Secondo tutti, Massimo è di Bologna, dove in effetti è nato. In realtà, la famiglia è originaria di Cazzago Brabbia, comune in provincia di Varese di 800 anime più o meno, ora caput mundi, però, visto che proprio lì ha visto la luce Giancarlo Giorgetti, il Gianni Letta di Bossi, presidente della Commissione Bilancio della Camera, segretario nazionale del Carroccio, riservato come una marmotta, e soprattutto, cugino di Ponzellini. Ecco il fato ancora. E l’eredità di una rete, di un coacervo di relazioni che il banchiere, dotato quando è in vena di una simpatia travolgente, battute a raffica, eloquio fiorito simil Bossi e neanche un filo di puzza sotto al naso, ha saputo mettere a frutto come pochi.
Così passa dalla Roma delle Partecipazioni Statali con il Professore alla Londra dell’alta finanza, sede della Banca Bers, fondatore Jacques Attali, ex consigliere di Mitterrand, ora di Sarkozy, vice presidente Sarcinelli, invece, dove nel giro di pochissimo diventa amico di Carlo d’Inghilterra (una volta, per evitare una multa, bisbiglia quasi con l’occhiolino la conoscenza altolocata all’orecchio di un vigile londinese che per un pelo non lo ricovera per accertamenti).
Dopo, governo Berlusconi, ministro l’amico di famiglia Dini, trascorre nove anni fra gli abeti del Lussemburgo alla Bei fino a quando Tremonti, frequentato a fine anni Ottanta, da ministro del Tesoro lo nomina responsabile di Patrimonio Spa e della Zecca di Stato. In Italia, ritrova il gran giro. A Roma, quello della politica. A Milano, quello dell’economia, Marcellino Gavio e Salvatore Ligresti, gli imprenditori che con Gilberto Benetton lo nomineranno presidente di Impregilo, colosso delle grandi opere (ora anche in Libia), alcune molto care ai padani: la galleria del Gottardo, la Pedemontana Lombarda, la Tangenziale est esterna di Milano. Poi, la vittoria alla Bpm, dopo uno scontro epocale con l’ex dc Roberto Mazzotta, conquistata grazie all’appoggio di sindacati e soci convinti, racconta una fonte leghista, dal curriculum di Ponzellini, certo, ma anche da un lavoro di lobby strategico (la banca ha comprato una montagna di Tremonti bond). Fatto sta. Lega o non Lega, dai e dai, Ponzellini riesce persino a costruire un rapporto personale con Bossi. Appare in compagnia di Tremonti e del leader del Carroccio agli incontri con gli industriali del Varesotto all’Agustawestland di Vergiate, dove la Lega vorrebbe mettere uno zampino in cda molto volentieri. È spesso con i due ministri a Montecitorio a Roma. A colazione al Savini di Milano. Il primo luglio, durante un vertice alla pizzeria Capricciosa di Roma il banchiere compare per un affettuoso saluto al Senatur. Sono ancora l’Umberto, il Giulio e il Massimo a visitare il 26 luglio Villa Reale a Monza, possibile scenario Expo 2015. Ponzellini manca di rado ai "lunedì di Giulio" all’Agenzia delle Entrate a Milano, dove Tremonti convoca i principali banchieri per chiacchiere informali e pasti frugali. Per dire la vita: proprio lui che aveva partecipato nel 2001 al rilancio de "l’Unità" di Furio Colombo e Antonio Padellaro, ora è una star della "Padania".
Proprio lui, formato nelle banche europee, si accompagna al partito che vede l’Ue come il Diavolo. Proprio lui, l’uomo dai mille contatti con la finanza Usa, bacchetta al convegno Federlegno il presidente Giorgio Napolitano per la visita a Obama, preferita all’assemblea Confindustria, ed è in prima fila ai festeggiamenti romani per Gheddafi. Un’unità di pensiero quasi commovente tra lui e la Lega, persino sulla Rai: "Se chiudesse, il Paese ci guadagnerebbe", ha detto. Così non c’è da stupirsi se poi qualcuno pensa di trasformarlo in un politico, come è successo con la ventilata candidatura a Bologna, liquidata da lui come una boutade. Ponzellini, uomo accorto e abile, ha imparato bene che i premier passano, i politici tramontano, ma che in genere, i banchieri restano.