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 2010  settembre 09 Giovedì calendario

LA VITTORIA DI MARCHIONNE CONTRO I RICATTI DI EPIFANI

Come definire la decisione della Federmeccanica di dar la disdetta al contratto dei metalmeccanici sottoscritto nel 2008? Certo, è una mossa “tecnica e cautelativa”, come ha subito precisato il presidente Pier Luigi Ceccardi, per evitare che un accordo quale quello da tutti i sindacati salvo la Fiom ed approvato dai due terzi dei lavoratori, finisca seppellito sotto i ricorsi giudiziari giù anticipati dalla stessa Fiom. Ma è anche, in un certo senso, un gesto rivoluzionario, che può innescare un processo virtuoso per le relazioni industriali. Anche se la strada sarà lunga e difficile.
Dopo la disdetta, infatti, Federmeccanica ha già dato appuntamento ai sindacati, almeno a quelli che hanno sottoscritto l’accordo dell’aprile del 2000, cioè Cisl e Uil, per riempire di contenutila materia delle deroghe al contratto nazionale, già prevista dall’intesa dello scorso ottobre. In sostanza, come già previsto per Pomigliano, sarà possibile derogare in materia di orario e di straordinari ed in presenza di “casi anomali” di assenteismo, a quanto previsto dagli accori in sede nazionale. Questo avverrà a fronte di situazioni di crisi, in cui è a rischio l’esistenza stessa dell’impianto, o in presenza di nuovi investimenti che richiedono (è il caso di Fabbrica Italia) garanzie specifiche. Non si tratta, insomma, di avviare un progetto di “sfruttamento selvaggio” o di “violazione dei diritti costituzionali” come improvvidamente sostenuto dalla Fiom e rilanciato, in forma acritica, da più di un osservatore. Bensì, nel rispetto delle regole, di fissare, caso per caso, meccanismi che prevedano, in cambio di una maggior produttività (frutto, tra l’altro, di più flessibilitànell’orario) più salario. Come previsto dall’accordo di Pomigliano dove, tra l’altro, lo straordinario godrà di sgravi fiscali. Tutto questo alla Fiom non sta bene: la “pretesa” di vederci chiaro quando un pugno di lavoratori con uno sciopero o una sospetta malattia diplomatica rischia di far saltare il 18° turno (quello del sabato sera) è giudicato dal sindacato dei metalmeccanici della Cgil uno schiaffo alla Costituzione. Intanto i Cobas dell’impianto campano hanno proclamato “lo sciopero generale dello straordinario fino al 2014”: senza la disdetta preventiva del conratto del 2008, anche questa pretesa sarebbe stata dichiarata meritevole di tutela dal giudice.
Ora, grazie alla disdetta dell’accordo, questo rischio diminuisce (anche se non svanisce). Però, cosa ancora più importante, il germe del cambiamento irrompe in una materia da troppo tempo congelata. L’obiettivo? Il contratto nazionale, finora la Bibbia omnibus buona pertutte le situazioni, dalla fabbrica di Mirafiori alle piccole botteghe artigiane degli orafi di Vicenza, deve trasformarsi nella cornice dei diritti minimi, validi per tutti. Sotto questo cappello, però, potrebbero trovare posto contratti più segmentati, aderenti ad un modo del lavoro in costante cambiamento. E le famose deroghe, arma fondamentale per agganciare l’Italia al treno dell’economia globale, in cui l’industria manifatturiera di casa nostra ha le sue carte da giocare, purché si superi il “nanismo”che da sempre condiziona il made in Italy, anche per ragioni sindacali (oltre che fiscali). “Piccolo è bello”, inpassato, è stata una scelta obbligata per sfuggire alla morsa di un sindacato troppo combattivo. Certo, può esser motivo d’orgoglio scoprire che il 93% dell’export tricolore dipende da piccole e medie imprese. Ma ora questa risposta italiana alle esigenze di flessibilità rischia di diventare un handicap per tutti, grandi e piccoli. Non a caso stavolta gli interessi della Fiat e dei piccoli coincidono. E il pugno di ferro di Marchionne, lungi dallo spaccare la Confindustria o la Federmeccanica, ha consentito di trovare un terreno comune d’azione tra grandi e piccole imprese. E con i sindacati che hanno a cuore la partita dello sviluppo, piuttosto che le ricadute politiche dell’intransigenza dei falchi. Ed è una bella novità.