Alessandro Schiesaro, Il Sole 24 Ore 9/9/2010, 9 settembre 2010
LAUREA SPUNTATA CONTRO LA CRISI - I
l check-up annuale dell’Ocse al sistema educativo dei paesi membri consente di misurare in dettaglio l’evolversi del panorama internazionale in un settore la cui centralità è ormai indiscussa. Quello appena uscito presenta motivi di particolare interesse perché si fonda in gran parte su dati 2007-2008, con incursioni anche nel 2009, e consente quindi di misurare almeno in parte l’impatto della crisi economica globale.
Nel 2007 tre quarti dei laureati Ocse ha trovato lavoro nei primi anni dopo la fine degli studi, la stessa percentuale del 2003, quando però il numero assoluto dei laureati era nettamente inferiore e il clima economico nettamente migliore. L’Ocse conclude ancora una volta che l’investimento in formazione avanzata "paga" sia a livello individuale ( il potenziale di guadagno del laureato è più alto), sia a livello sociale, per il maggior contributo fornito all’innovazione, la crescita e lo sviluppo.
L’appuntamento con i traguardi fissati dall’Agenda di Lisbona scade in teoria tra poche settimane e resta da vedere quanti parametri saranno stati rispettati: non c’è dubbio, in ogni caso, che tutto il mondo economicamente sviluppato abbia messo in moto politiche di promozione delcapitale umano inlinea con l’Agenda. Negli scorsi 13 anni i laureati Ocse sono cresciuti in media del 21%, ma in alcuni paesi i numeri raccontano un’evoluzione anche più sensazionale: il record appartiene alla Finlandia, che nello stesso periodo ha quasi triplicato il numero dei laureati e svetta oltre il 60% ( una percentuale che resta altissima anche al netto di alcuni fattori distorsivi); la Slovacchia è cresciuta in modo simile puntando soprattutto sulle lauree professionalizzanti para-universitarie; la Russia presenta ritmi sostenuti; nel complesso la geopolitica della formazione avanzata, anch’essa ormai globalizzata, segnala spostamenti significativi tra l’asse tradizionale Usa-Gran Bretagna e i paesi dell’Asia e dell’Oceania a favore di questi ultimi.
Per quanto riguarda il numero dei laureati l’Italia sconta, nelle classifiche generali, il numero molto basso nelle classi di età più mature, ormai immodificabile. In quelle più giovani il 32,7% di laureati è invece in linea con la media Ocse e nettamente superiore al 19% del 2000, prima dell’introduzione della laurea triennale.
Restano però evidenti alcuni problemi. Il primo è la scarsa o nulla differenziazione della formazione terziaria, cioè quella post-diploma. La Germania, per esempio, ha meno laureati "tradizionali" rispetto all’Italia (il 25,5%), ma a questi si aggiunge un buon 10% di coetanei che ha conseguito titoli professionalizzanti di durata biennale o triennale, la stessa percentuale degli Usa, ma molto meno del 30% circa raggiunto da paesi tecnologicamente avanzati come il Canada, la Corea, il Giappone, il 25% di Francia e Svizzera, il 16,5% della Gran Bretagna. Tutti paesi in cui esiste da tempo un sistema consolidato di studi avanzati para-universitari sul cui modello sono ora esemplati gli Istituti tecnici superiori. Nell’attesa che questa nuova rete formativa, di grande importanza strategica, decolli definitivamente, le università italiane hanno continuato a supplire anche ad esigenze strettamente professionalizzanti offrendo una gamma di titoli triennali che altrove, appunto, sono giustamente affidati a istituzioni meglio in grado di prendersene cura, se non altro perché assicurano una correlazione organica con le esigenze del mercato del lavoro.
Proprio sul versante del rapporto con il mondo del lavoro colpisce un altro dato riferito all’Italia. In tutti i principali paesi Ocse l’inizio della crisi ha fatto aumentare percentualmente il tasso di disoccupazione dei non laureati, che più degli altri hanno subito la contrazione dell’economia: in Italia è successo l’inverso. Si tratta di un rapporto percentuale - chi ha conseguito la laurea continua ad avere nel complesso migliori prospettive occupazionali - ma fa comunque riflettere. Poiché i laureati si concentrano tra le classi di età più giovani, è possibile che abbiano scontato situazioni lavorative meno garantite; a questo è plausibile che si aggiunga un altro fattore in parte convergente, cioè l’imperfetto allineamento tra il titolo conseguito e le concrete prospettive occupazionali.
Da questo punto di vista il proliferare negli ultimi anni di lauree di dubbio peso scientifico, ma allo stesso tempo poco apprezzate sul mercato del lavoro, dimostra che non basta aumentare il numero dei laureati in quanto tale, ma che bisogna articolarne la tipologia e differenziarne i profili: il "pezzo di carta", di per sé, non basta davvero più.