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 2010  settembre 09 Giovedì calendario

LA LEZIONE PIÙ DIFFICILE - A

sentire loro, gli studenti delle scuole superiori, le lezioni così come sono proprio non vanno bene. Uno studio Ipsos Mori su adolescenti inglesi ha misurato i modelli di apprendimenti preferiti con risultati per certi versi sorprendenti. I cosiddetti nativi digitali (ma forse non solo loro) non vogliono più solamente ascoltare l’insegnante, copiare dalla lavagna e prendere appunti. Vogliono imparare dall’esperienza, vogliono apprendere in gruppo e tra pari, vogliono usare il computer, co-produrre contenuti su internet, desiderano, cioè, un apprendimento più personalizzato e sociale. Desiderano è il verbo giusto, se guardiamo alla poca, pochissima tecnologia che è presente nelle scuole. Ma, è lecito domandarsi prima di puntare il dito, servono veramente computer, tablet, software e gadget per l’apprendimento? «Con certezza – spiega Paolo Ferri, professore di tecnologie didattiche e teoria e tecniche dei nuovi media all’Università Milano Bicocca –sappiamo che è internet a fare la differenza. Gli adolescenti che possono contare sull’accesso o sulla possibilità di uso di un computer a casa in media raggiungono punteggi più alti all’interno dell’indagine Pisa (Programme for International Student Assessment (Pisa), un’indagine internazionale promossa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ( Ocse) per accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati nelle aree della lettura, della matematica e delle scienze». Non solo: si sa anche che a differenza delle generazioni precedenti i nativi digitali hanno una cultura visuale più sviluppata, presentano –anche bambini di cinque anni – un migliore adattamento ai nuovi media. Il che naturalmente non vuol dire che per appredendere debbano necessariamente possedere l’ultimo gadget elettronico. Internet, sostiene Ferri, offre meno opportuntà di approfondimento, leggere su schermo stanca ma offre accesso a risorse culturali senza precedenti. «Quello che è auspicabile – aggiunge – è che la classe non diventi un ambiente molto meno stimolante della cameretta dello studente. In questo caso le tecnologie contano».
Se diamo retta alle classifiche internazionali, le classi italiane restano low tech. Insufficienti i computer nelle aule, le lavagne interative consegnate ad oggi sono circa 25mila su 364mila classi tra scuola primaria, secondaria e superiore ma sopratutto il tema vero è l’accesso a internet. «Una lavagna interattiva che non è connessa in rete vede drasticamente ridotte le sue potenzialità – commenta il professore della Bicocca –. Chiaramente è un problema di soldi. Fino al 2001 sulla base del piano fatto nel 1996 si è mantenuto un allineamento con gli altri paesi poi il gap è aumentato». Ma solo se guardiamo all’Europa. Si si va negli Stati Uniti ci si scontra con il piano della scuola di Obama. Nel documento Trasforming american education: learning powered technology, il presidente americano indica nella tecnologia un elemento di centralità per ridurre il divario fra college pubblici e privati. Dei 145 miliardi di dollari previsti per la scuola, nel prossimo anno sono previsti 500 milioni solo in dotazione tecnologica.
Paragoni non si possono fare: tra gli obiettivi del piano c’è quello di alzare entro il 2020 la percentuale di chi riesce a concludere il college da 39 al 60 per cento. Solo questo dato basterebbe a descrivere la differenza tra il nostro e il sistema educativo americano. Tuttavia, insistere sulla centralità della tecnologia come strumento didattico è un segnale di discontinuità forte ma anche controverso. Chi come Nicholas Carr si domanda nel suo libro The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains
se internet renda o meno stupidi, non può negare l’evidenza che c’è un luogo, la rete, dove accedere a contenuti di livello, consultare una biblioteca che la scuola tradizionale non ha mai conosciuto e interrogare soggetti finora inarrivabili. Insegnare con internet significa portare in classe quella cultura visuale che nel bene e nel male sta crescendo la parte più giovane della nostra popolazione.
In più, per governare questa risorsa non occorrono tecnologi ma la risorsa più antica di sempre: gli insegnanti.