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 2010  settembre 09 Giovedì calendario

Intervista a Luca Ricolfi: «Il Fli è illiberale: vuole l’assistenzialismo» - Luca Ricolfi, uno dei più importanti sociologi italiani, è un osservatore disincanta­to della politica, non certo ascrivibile al «berlusconi­smo »

Intervista a Luca Ricolfi: «Il Fli è illiberale: vuole l’assistenzialismo» - Luca Ricolfi, uno dei più importanti sociologi italiani, è un osservatore disincanta­to della politica, non certo ascrivibile al «berlusconi­smo ». Sul partito di Fini, pe­rò, ha un’opinione molto du­ra, che paradossalmente lo avvicina alle tesi dei falchi berlusconiani, pur essendo il suo punto di vista molto di­verso e ispirato da considera­zioni prevalente­mente scientifi­che. Professore, lei ha detto che Fi­ni guida un par­tito che si procla­ma liberale ma non lo è. Perché è così severo? «Perché per un partito di ispirazio­ne liberale i temi agitati da Fini - le­galità, rispetto del­le istituzioni, auto­nomia della magi­stratura, plurali­smo dell’informa­zione, diritti indivi­duali (compresi quelli di immigra­ti e gay)- sono sem­plicemente ovvi, dati per scontati. Mentre i temi di­scriminanti sono quelli dell’econo­mia, meno tasse e meno spesa pub­blica improdutti­va. Non è che fra i finiani questi ulti­mi siano del tutto assenti (penso al­le posizioni di Bal­dassarri), ma han­no un peso mino­re, sono come sommersi dall’im­postazione antife­deralista di Futu­ro e libertà». Eppure Fini vor­rebbe presen­tarsi come il rap­presentante del­la vera destra li­berale italiana, anzi europea. «Può farlo per­ché il Pdl, com’è oggi, di europeo ha ben poco, è un partito cari­smatico con forti tratti illibe­rali in materia di dissenso in­terno, di diritti civili, di conce­zione delle istituzioni. E fin­ché il discorso verte sullo sta­to di diritto, uno dei cardini della visione liberale, il parti­to di Berlusconi è destinato a soccombere in una gara di li­beralismo con il partito di Fi­ni. Mentre se si va alla sostan­za, ossia alla politica econo­mica, è il partito di Fini che soccombe nettamente, per­ché la visione di Berlusconi ­per quanto lontana dal libera­lismo - è comunque più libe­rale di quella di Fini». Deluso dal discorso di Mi­rabello? «No, non mi ha deluso per­ché non mi aspettavo niente di più di quello che ha detto. Fini, come D’Alema, è un tat­tico, molto abile a gestire il breve periodo ma poco incli­ne a pensare nel registro del­la lunga durata». Le tasse, un grande tema del pensiero libera­le, non sembra­no una priorità dell’agenda di Fini, che anzi la­menta i tagli li­neari di Tre­monti. Insom­ma Fli come en­nesimo partito della spesa pub­blica? «Ovviamente sì, come potrebbe es­sere diversamen­te per un partito che prende i voti soprattutto dal La­zio in giù?». Per esempio Fi­ni ha appoggia­to la protesta dei precari con­tro la riforma della Gelmini. Ma chi ha ragio­ne, i precari so­stenuti da Fini o il ministro? «L’azione della Gelmini andreb­be nella direzione giusta se fosse mol­to più radicale, e soprattutto se spie­gasse con fran­chezza agli italia­ni i veri mali della scuola e dell’uni­versità. Sui preca­ri, più che essere giusta, è inevitabi­le, e non fa che con­tinuare la politica di Fioroni (mini­stro dell’istruzio­ne del governo Prodi)». Fini sembra in­somma una rie­dizione del solito centri­smo filo- Sud. Eppure certi commentatori e intellet­tuali sembrano incantati dal nuovo Fini. Un’ennesi­ma prova del conformi­smo intellettuale italiano, i cui danni lei ha ben de­scritto in Illusioni itali­che ? «Mah, forse più che di con­formismo si tratta di wishful thinking , di pie illusioni. Mol­te persone di destra istruite sognano un partito conserva­tore classico, europeo, possi­bilmente liberale e di massa. E appena qualcuno glielo pro­mette, ci credono con fanciul­lesca fiducia». Fini ha attaccato molto du­ra­mente la Lega e il federa­lismo voluto da Bossi. Non sarebbe abbastanza «soli­dale » secondo Fini. Ma co­sa vuol dire «federalismo solidale»? «I finiani, e più in generale i paladini del Sud, hanno già ri­portato una vittoria campale quando, nella primavera del 2009, il governo ha affossato la proposta federalista della Lombardia (inclusa nel pro­gramma elettorale del Popo­lo della libertà) per adottare una versione molto più mor­bida di federalismo, caldeg­giata dal Partito democratico e dalle regioni del Sud. A que­sto punto l’unica questione è di trovare il modo di far fun­zionare il federalismo, non certo di annacquarlo ulterior­mente ». Fini dice che bisogna stu­diare attentamente «cosa voglia dire fondo perequa­tivo », cioè capire come so­stenere comunque il Sud che altrimenti dovrebbe fa­re troppi «sacrifici» a fede­ralismo attuato. «Veramente il federalismo, se attuato sul serio, comporte­rà anche sacrifici al Nord (in Liguria, Valle d’Aosta, Trenti­no Alto Adige) e al centro (Umbria e Lazio). Quanto al Sud, ci sono anche regioni che potrebbero guadagnare dal federalismo, come la Pu­glia e l’Abruzzo, che oggi so­no sotto finanziate». Insomma hanno qualche ragione i leghisti che vedo­no nel movimento di Fini un partito sudista-assi­stenzialista? «No, non hanno qualche ra­gione, hanno tutte le ragio­ni». Ma secondo lei che spazio c’è a “destra” per Fini? «Difficile dirlo, ma molto di­penderà dalle alleanze. Se sta­rà con il centrodestra potreb­be recuperare circa la metà dei voti di Alleanza naziona­le, diciamo il 5-6 per cento. Se invece strizzerà l’occhio al centro e alla sinistra potreb­be rubare voti un po’ a tutti, compresa l’area di Di Pietro e dei Grillini, ma perderebbe buona parte dello zoccolo di An. Il saldo è difficile da valu­tare, ma dubito che possa su­perare il 5 per cento». Ci dica la verità, lei cosa prevede per Fini: nuovo leader del centrodestra ita­liano o le­ader di un partiti­no in una coalizione “ mar­mellata” con Rutelli, Casi­ni e gli altri? «La seconda che ha detto».