Ernesto Ferrero, La Stampa 9/9/2010, pagina 21, 9 settembre 2010
Il mio Sandokan, si capisce, è Garibaldi - Emilio Salgari, classe 1862, ha padre veronese, madre veneziana, ma è torinese di adozione
Il mio Sandokan, si capisce, è Garibaldi - Emilio Salgari, classe 1862, ha padre veronese, madre veneziana, ma è torinese di adozione. Dodici anni di giornalismo (cronaca ed esteri), più di ottanta libri di grande successo, idolo di generazioni di ragazzi italiani. Lei non è stato quel che si dice uno scolaro modello, ha collezionato bocciature anche all’Istituto Nautico Paolo Sarpi, a Venezia. La scuola non le piaceva proprio. «Non riuscivo a star fermo. Avevo il movimento nel sangue, la passione di farmi marinaio, di avere un giorno una nave da comandare, un equipaggio sotto di me, e scorrere gli ampi mari alla ricerca di avventure, burrasche, emozioni vere. Sono stato un eccellente ginnasta, nuotatore, schermidore e velocipedista. Non mi piaceva la scuola ma mi piacevano i libri. Stavo ore in biblioteca a sognare sui testi sacri di Giulio Verne e dei viaggiatori in generale. Avevo anche la mania di disegnare, dappertutto, anche sui polsini delle camicie, centinaia di golette, cutter, brigantini con le vele al vento, battaglie navali. Ma anche mappe geografiche, carte dettagliate di paesi di mia invenzione. I viaggi veri si fanno sugli atlanti. Mi piaceva creare dal nulla intere isole, con tanto di montagne, fiumi, porti e castelli. Dapprima è stato un piacere fine a se stesso, poi da quando mi sono messo a scrivere - presto, i primi racconti gli ho scritti a quattordici anni - le carte mi servivano per immaginare meglio le storie che dovevo raccontare. Per vederle. Lei sta dicendo che in fondo il cinema le deve qualcosa. Torino è stata la capitale del cinema italiano, eppure non le ha chiesto niente, anche se lei a Torino viveva. «Eh, caro mio, le cose che abbiamo sotto gli occhi sono quelle che non siamo capaci di vedere. Torino - Grissinopoli, come la chiamo io - ha ignorato la mia stessa esistenza, forse perché ho sempre abitato in periferia. Ma a me non piace la mondanità, non amo la cosiddetta società letteraria che giudico un po’ fatua e pomposa. Preferisco la campagna, la Madonna del Pilone. Il cinema non ha inventato niente. Sono già cinema l’Iliade, l’Odissea, l’Ariosto, Dumas. Il cinema migliore ce lo facciamo noi da soli, con l’immaginazione. Io fornisco al lettore dei dettagli precisi, ma poi tocca a lui: come nell’amore, bisogna essere in due. Lo scrittore è il maschio, il lettore la femmina. Metto nei miei romanzi delle parole esotiche di piante e animali anche per il suono che danno. La musica che fanno. È un gioco di magia. Con che cosa li incanti i cobra? Con il flauto. Ti-ri-ri, ti-ri-ri e loro si mettono a ballare. I lettori son come i cobra, li devi tirare fuori dal cestino. Bisogna cantargli mamplàm, sciambàga, rotàng, duriòn... Lei ha spesso parlato dei viaggi che ha fatto come capitano di gran cabotaggio, a seguito del diploma conseguito a Venezia. V’è chi sostiene che lei il diploma non l’abbia ottenuto e che l’unico viaggio che ha fatto per mare sia stato fino a Brindisi su un trabiccolo da trasporto... «Guardi, buon uomo, che nel 1885 a Verona ho già sfidato a duello un giornalistucolo invidioso e malevolo che aveva messo in dubbio il diploma e le navigazioni, e l’ho ferito al primo assalto. Avrei voluto finirlo. Non vorrei farle fare la stessa fine. Mi permetterò di osservare che la questione è mal posta. Poniamo per ipotesi che io non abbia fatto i viaggi di cui ho parlato e che non abbia visto con i miei occhi le cose che ho descritto. Che importanza avrebbe? Lei, ma che dico lei, milioni di lettori si sono mai lamentati delle mie descrizioni? Le hanno trovato insufficienti, imprecise, poco suggestive? Quello che conta sono i libri, non i piccoli uomini che li scrivono; e qui sfido chiunque a fare di meglio. Lei pensa che l’India, la Malesia o i Caraibi siano più seducenti di come li descrivo io? Dei viaggi veri non avrebbero aggiunto niente alle mie pagine». C’è una domanda classica che si fa sempre agli scrittori. I lettori vogliono sapere se quel tal personaggio è autobiografico. Per venire al sodo: ma Sandokan chi è? È forse lei? «Uno scrittore sta tutto intero nelle cose che scrive e soprattutto in come le scrive. La sua vera autobiografia è quella. Se però rispondi così nessuno è contento. I lettori sono dei pettegoli. Allora le rispondo. Ma Sandokan è Garibaldi, cribbio! Lo capisce un bambino. Marianna è Anita. Yanez è Bixio. I tigrotti sono i Mille. Ma Sandokan è anche ogni lettore, che vorrebbe essere come lui, una tigre invincibile. E naturalmente sono io da giovane, che ero appunto una tigre indemoniata. Poi crescendo mi sono identificato in Yanez, più ironico, distaccato, cogitabondo. Gran fumatore, come me... Lei ha scritto anche un romanzo di fantascienza, Le meraviglie del Duemila, in cui immagina che due signori si facciano ibernare e si risveglino in America nel 2003. Ci dica cosa ha previsto per quell’anno. «Vedo esplosivi potentissimi, in grado di produrre danni inimmaginabili a grandi distanze. Vedo un enorme fuso che usa come carburante l’idrogeno liquido ed è in grado di traversare d’un sol balzo l’Oceano Pacifico. Vedo scienziati che partono per la Luna con un disco volante azionato dall’energia solare. Un sommergibile che arriva fino al Polo trovando un passaggio tra i ghiacci. Un treno pneumatico costruito in titanio, che corre a trecento all’ora sparato come un proiettile in un tunnel d’acciaio, con tanto di impianti ad acqua per ridurre il calore prodotto dall’attrito. Un giornale visivo migliore del cinematografo che si può leggere stando comodamente a casa. Gli uomini saranno in grado di colonizzare altri pianeti. Ci saranno turisti dappertutto, anche al Polo Artico, dove si costruiranno alberghi per i ricchi europei. Alle Isole Canarie si potrà creare una riserva per salvare gli animali in via di estinzione nei cinque continenti, perché balene e foche vengono distrutte dagli avidi pescatori americani… Tutto questo la disturba? «Guardi, a me non interessa la scienza in sé, come al signor Verne. Non mi interessano le macchine che fanno prodigi. Mi interessano gli uomini, quello che sono e che diventeranno. Mi interessano i valori che nel nuovo Regno d’Italia stanno andando a ramengo, il coraggio, la lealtà, la generosità, la solidarietà, perché qui siamo come in America, che conta solo arricchirsi a qualunque costo. Anche l’Esposizione Universale che stanno preparando a Torino per festeggiare il cinquantenario dell’Unità, quest’orgia tecnica in nome del Progresso è... Glielo posso dire in veronese? “‘Na gran vacàda. ’Na monàda”. Un parco divertimenti per incantare i nuovi gonzi».