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 2010  settembre 09 Giovedì calendario

I COMPAGNI DEL MULINO (MA CHI SONO?)

Non si fa in tempo a girarsi un momento (magari distratti da quelli che si attaccano al campanello di Napolitano, senza sapere che per salire non basta una citofonatina) e spuntano comunisti da tutte le parti. Gli ultimi sono stati avvistati in Strada Maggiore 37, a Bologna. Bella scoperta: dove, se non lì, si può adunare un nugolo di sediziosi nostalgici del fu Pci? Ma forse, con Guccini sempre a proposito di Bologna, è un po’ “cullare i cliché della gente”. Soprattutto perché al civico 37 c’è la sede di Mulino, la casa editrice fondata, assieme all’omonima rivista, nei primi anni ‘50. Quando, da quelle parti, bazzicavano tipacci notoriamente armati di falci e martelli come Nicola Matteucci o Luigi Pedrazzi. Da qualche giorno il Giornale insiste spiegando ai suoi lettori che al Mulino censurano titoli “scomodi” perché troppo revisionisti sulla sinistra. Due casi: uno è il saggio di Giovanni Orsina “L’alternativa liberale. Malagodi e l’opposizione al centrosinistra”, l’altro è la monografia di Alessandro Orsini “Anatomia delle Brigate rosse. Le radici ideologiche del terrorismo”.

Il modello

prodiano

DEL CASO Orsina aveva parlato il Corriere di domenica. Poi il Giornale lo ha ripreso lunedì, con un’intervista all’autore: “Forse al Mulino” - dice Orsina - “hanno pensato che il mio orientamento interpretativo non andasse bene. C’è ancora uno scontro sulla memoria della Prima Repubblica che tende a non tener presente il punto di vista moderato e può darsi che il modello prodiano del Mulino degli ultimi anni, un modello cattolico-progressista, non abbia accolto di buon grado un libro che ha per protagonista Malagodi, il quale pensava che i cattolici avessero fatto male ad allearsi con i socialisti”. Il padre putativo del modello, Romano, ieri era a Shanghai. Ma con il telefono acceso: “Per fortuna sono in Cina” - spiega Prodi tra una risata e uno sbadiglio da fuso orario - e intendo restarci un mesetto. Cosa devo dire? Una campagna in più o una in meno del Giornale contro di me, non cambia molto”. Stessa linea (da posizioni, non solo geografiche, piuttosto distanti) di Stefano Bonaga: “Il Mulino è un posto pieno di conservatori, ma quale progressismo? Il Giornale vuol vendere, tutto qui”.

Molte

anime

IL DIRETTORE della Rivista del Mulino Piero Ignazi ha voglia di tirar fuori sassolini: “Abbiamo storia lunga e spalle larghe. Da quando, nel ’51 e nel ‘54 furonofondatela Rivista e la casa editrice. Il Mulino avuto molte anime: una cattolica-democratica, una socialista, una liberale. Per questo mi fa ridere quando ci danno, di volta in volta, dei reazionari,degliestremistio dei laici furiosi”. Due politologi, entrambi membri dell’Associazione il Mulino, non arrivano a conclusioni molto diverse, pur non assomigliandosi affatto. Angelo Panebianco - docente a Bologna e all’Università San Raffaele di Don Verzé, editorialista del Corriere - innanzitutto precisa: “Non vorrei si confondesse Il Mulino con l’Einaudi dei tempi di Giulio Einaudi”. E poi: “Le ragioni per cui un libro non viene pubblicato sono molte. A volte si sbaglia, a volte no. Comunque per rispondere, basta dire che il Mulino ha pubblicato il libro di Aga-Rossi e Zaslavsky: “Togliatti e Stalin”, non proprio compatibile con la storiografia comunista. Gianfranco Pasquino - docente di Scienza politica a Bologna, editorialista del Fatto - è, al solito, piuttosto tranchant: “Le pubblicazioni del Mulino parlano da sé. Il titolo di Orsina è stato preso da Marsilio: quindi chi vorrà potrà leggerlo. Comunque, ci sono libri brutti, no? Al Mulino i manoscritti passano al vaglio di gruppi di lettura. Può darsi benissimo che il saggio non sia piaciuto ai lettori”. Il che sembra essere ciò che è accaduto anche per la monografia sulle Br. Ieri i responsabili del Mulino hanno scritto una replica a Feltri che dovrebbe essere pubblicatasulGiornaledioggi.E quindi leggeremo. Intanto ieri, tra editor e soci (professori, scrittori, intellettuali) non si parlavad’altro.UgoBerti,aproposito del saggio di Orsina, avevadettoalCorriereche“isaggidi ricerca storiografica hanno un mercato ridotto e ogni anno non ne pubblichiamo più di una dozzina”. Il libro era stato mandato due volte e dall’editore tardava ad arrivare una risposta . Ma qualcuno dice che forse gli accordi non erano stati rispettati anche dall’autore. Invece il libro di Orsini aveva pareri discordideilettori.Dice l’autore al Giornale: “Nel libro prendo in considerazione il ruolo pedagogico del Pci nella formazione del brigatismo rosso. Funzione necessaria, ancorché insufficiente, ma comunque concreta. Tale conclusione non poteva trovare d’accordo alcuni ex comunisti che si sono confrontati con il mio libro. Una volta presentato il libro al Mulino lo hanno respinto con una relazione breve, ideologica, poco argomentata, che pareva avesse come fine lo stroncare il saggio”. Che invece avrebbe poi avuto - uscito conRubettino-ungransuccesso (dice l’autore).

Comunisti

e terroristi

SUL TEMA “rapporti Pci-Br” - e su quanto sia “rivoluzionaria” la tesi delle radici comuni tra marxismo-leninismo e terrorismo - sembrava ragionevole interpellare il più grande studioso italiano del partito armato, ovvero Giorgio Galli: “Non ho letto il libro, il mio giudizio si limita all’intervista. Si può dire che le radici ideologiche del Pci, com’è nato nel ‘21, e del marxismo sono comuni a quelle dei brigatisti. Da questo non può essere assolutamente dedotta nessuna responsabilità politica o pedagogica del Pci, perché vorrebbe dire che il Pci ha ispirato le Br attraverso la sua azione culturale. E questo non è vero”. Ultima domanda: non è che al Giornale stanno sbagliando mira? Ora il pericolo, più che da inesistenti minacce comuniste, arriva da destra. Dai nipotini - pur pentiti - del Duce. “Succede perché tra certielettorididestrac’èsemprela paura archetipa e retrospettiva di quello che loro ritengono sia il comunismo”. Ma lo spettro che si aggira attorno alla maggioranza del premier-editore, è più nero che rosso.