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 2010  settembre 09 Giovedì calendario

QUELLA CAUSA ETERNA CHE FINIRÀ IN RIFFA

L’estrazione finale è prevista tra poco più di un mese. Non di un vero concorso si tratta, piuttosto una lotteria privata, della quale oggi s’è quasi smarrito il senso, pur conservando gli aventi diritto, il biglietto. E la facoltà di parteciparvi. Anche se non tutti i possessori del vecchio tagliando ci saranno: due se ne sono già andati, a forza di aspettare. E comunque il tempo ha cambiato le carte tante volte - carte legali: perizie, ricorsi, verbali - da che ha avuto inizio questa storia che, il prossimo 20 ottobre, a Torre del Greco, finirà in riffa.
Ci sono storie che raccontano un Paese come il nostro meglio di altre, esemplari e intollerabili assieme. Beffarde e incresciose. Sono quelle capaci di trascinarsi, un po’ come le fole dei bambini, rinviando Ogni volta la conclusione, allungandosi sulle . stagioni immutabili del nostro scompenso. Magari illuminandolo con un fuoco d’artifìcio finale che scintilla inventiva giuridica e rimanda ad archetipi geniali, tipo Totò cerca casa.
Non era una strepitosa riffa napoletana che spediva il principe de Curtis, in attesa di abitazione, ad alloggiare prima a un passo dal cimitero e poi, premiato da una vincita senza valore, a penare per il tetto mancato? Be’, tra poco, al Tribunale di Torre Annunziata, avrà luogo proprio una riffa abitativa: una riffa tra fratelli e, nel caso, i loro discendenti. Il premio? La casa - più metà scantinato e metà giardino - che il signor Francesco Sasso, buon’anima, scomparso all’inizio del 1977, lasciò ai suoi cinque figli. E che in trentatré anni è rimasta indivisa e non assegnata, perché la causa intentata da una delle figlie, la signora Famina, contro gli altri fratelli (Brigida e Marina, Elisa e Corrado) per la ripartizione dell’eredità s’è trascinata da allora senza uno straccio di sentenza, offrendo però tutti i piatti forti dei nostri dibattimenti infiniti, che a verdetti e verità processuale arrivano a fatica, già sazi di rinvii e di rinvii dei rinvii; di perizie di parte accettate, contestate, invalidate, rifatte e disfatte di nuovo; di spostamenti di tribunale per competenza territoriale (prima la causa "stava di casa" a Napoli); di udienze inserite in calendario una volta all’anno, quando va bene. Un’abbuffata burocratica che, finalmente, sembra chiedere il conto.
E chiudere i conti con un processo allucinante per aprire la porta di quella casa, in contrada Sant’Antonio, che è ancora lì che aspetta il miracolo di un’assegnazione, una proprietà condivisa, una sentenza che sia una. Una casa che aspetta il prossimo 20 ottobre. Quando, se a nessuno dei fratelli in vita o degli eredi degli scomparsi verrà in testa di impugnare il provvedimento del magistrato - proponendo ulteriore ricorso -, una riffa chiuderà, ed era ora, la storia.
Già, perché dopo il nulla partorito per tutto questo tempo, il nuovo presidente del tribunale di Torre Annunziata ha deciso che era ora di finirla, una buona volta, e il giudice relatore, convocate lo scorso 22 giugno le parti, ha impiegato solo otto giorni a depositare la sentenza: visto che una divisione tecnica è stata approvata e l’edificio già diviso in lotti, cari eredi Sasso, "si sorteggia". Tré decenni abbondanti di spese legali, di avvocati e periti, di matrimoni e di funerali, per poi affidare - nel giro di una settimana, tanto bastava - il verdetto a un bussolotto.
Ha raccontato al Mattino. Stefano lura, poliziotto, figlio della signora Famina, appena sedicenne quando il nonno morì e la causa si aprì: «Ho quasi 50 anni oggi, ma sembra che siamo alla fine di questo calvario giudiziario». All’ultima udienza dopo più di trent’anni di pazienza. E di indecenza giudiziaria, perché in questa storia tempi e modi di procedere han rasentato l’ignobile. E la macchina giudiziaria s’è insabbiata e addormentata, altro che inceppata.
Storia paradossale di un Paese dove il paradosso è, a volte, il solo modo di raccontarlo. E di scandirne linguaggio, astuzie, indolenze. Come non fossero mai trascorsi, per certi versi, non solo questi trentatré anni ma neppure i sessanta e passa da quando Totò aspettava casa a colpi di riffa. Una storia che è lo spaccato di un’Italia immutabile, che non va più via, un po’ come quelle macchie che si confondono col tessuto (sociale) e nessuno ci fa più caso. Una storia, per giunta, emblema della grande unificante passione civile di questo Paese: quella per il gioco. Una storia che si chiuderà, come la giornata di tanti italiani - sospesi tra grattini ed estrazioni – con le speranze affidate a una lotteria.