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 2010  settembre 09 Giovedì calendario

MARIANO&SILVIO, RIECCO LA STRANA COPPIA - È ciucculata è fatta chesta pelle/ È neve bianca è fatto stu sorriso/ nun si’ napulitana e mmanco si’ africana/ cu stù culillo a mandolino quanno cammina/ pare che sona na musica/ È ciucculata è fatta chesta pelle/ È neve bianca è fatto stù sorriso/ nun si’ napulitana e mmanco si’ africana/ cu stù culillo a mandolino quanno cammina/ pare che sona na musica brasiliana”

MARIANO&SILVIO, RIECCO LA STRANA COPPIA - È ciucculata è fatta chesta pelle/ È neve bianca è fatto stu sorriso/ nun si’ napulitana e mmanco si’ africana/ cu stù culillo a mandolino quanno cammina/ pare che sona na musica/ È ciucculata è fatta chesta pelle/ È neve bianca è fatto stù sorriso/ nun si’ napulitana e mmanco si’ africana/ cu stù culillo a mandolino quanno cammina/ pare che sona na musica brasiliana”. La prosa elegante della strana coppia è attesa per novembre. Un nuovo disco di Silvio&Mariano, il quarto, incastonato come una perla tra l’acquisto di Ibrahimovic, l’annuncio della campagna elettorale e una certa tendenza scorsesiana, a unire il sacro con il profano. Versi indimenticabili. Eterni. Saperne di più è difficile. Un titolo in linea con il partito del sentimento universale: “Con l’amore si può” e poco altro. Anche la spontaneità degli albori, ha fatto spazio alla ragion di Stato e ai suoi molti sinonimi. Paura, diffidenza, fiuto. Così, Mariano Apicella, 48 anni il 14 settembre, ex disturbatore melodico di coppiette annoiate a cinque stelle nel panorama indistinto degli Sheraton di tutto il pianeta dalla Corea alla Cina, dubita. E al telefono, mentre gli chiedi se davvero tra la dozzina di brani scritti a quattro mani con Berlusconi, in breve tempo sugli scaffali, ci sia qualcosa in grado di raccontare tra le rime baciate l’incubo del premier assediato dagli alleati di un tempo e dalle mestizie coniugali, svicola, puntando forte sulla roulette del sentimento. “Contento? Io sono sempre felice. Di vivere, sorridere, stare al mondo. Il disco, mi creda, è l’ultimo dei miei interessi. Però non dirò una parola in più. Per ottenerla, deve passare dal mio addetto stampa. Si occupa di tutto lui”. Nomen Omen, Beppe Origlia ha l’orecchio fino. Somiglia a un Rottweiler. Annusa, attacca, non lascia prigionieri. La prudenza tatuata sul cuore, lo scatto improvviso. Alfiere del segreto che pur di mantenerlo, sarebbe pronto a morire. La Dialettica è da Stasi. “Darle informazioni mi parrebbe davvero inopportuno. Non abbiamo ancora una casa distributrice e comunque, al contrario di quanto erroneamente apparso sui giornali, del disco che avrà un sound del tutto rivoluzionario rispetto alle abitudini di Mariano, non è prevista un’uscita imminente. Si parla di almeno due mesi. A risentirci”. Annegati nel mezzo di un silenzioso mare, non resta che affidarsi al ricordo e alla storia, in cui il sogno americano si inchina a quello di Milano 2. Maggio 2001, l’ovale di Apicella, nonno tassista e poeta, padre chansonnier si sdraia sulle pareti dell’Hotel Vesuvio, già testimoni da Woody Allen a Bogart, di Cinema puro in faccia al Maschio Angioino. Che notte quella notte all’Hotel Vesuvio di Napoli QUEL GIORNO, mentre accordava la chitarra, nondiversamentedalFantozzi,cuineimomentichiave, appariva l’Arcangelo Gabriele, si materializzò Silvio Berlusconi, reduce da un plebiscito elettorale e, per così dire, più giovane di un decennio. “Che ci creda o no, io con il dottor Confalonieri, ho fatto a lungo il suo stesso lavoro”. Passata la nottata (ballottaggio per le comunali) trascorsa a suonare a un tavolo preistorico al quale, ancora lontane le scomuniche a uso interno, siedevano Buttiglione e Fini, la grande proposta. “Vuole passare qualche giorno con me quando stacco la spina?”. Scommesse con la moglie: “Non mi chiamerà”, “Lo farà di sicuro” e pegno pagato di buon grado, con esultanza annessa. Le serate, fecero la piccolastoriadiunconnubioirrituale.DaMortorotondo adArcore,passandoperl’accoglienteplacentadiBruno Vespa. Limando alla vita e alla politica, gli istanti per dimenticare la dura legge del comando. Lui e Silvio, Silvio e Mariano. Sempre insieme, a volte, come in occasione della visita sarda di Putin, carezzati da Tony Renis, fino a quando le invidie dei nemici “Ma Dell’Utrisidivertivamoltissimo”,nonsiaddensarono sul duo, consigliando a Silvio I°, di diradare le esibizioni . Da molti punti di vista, sembra di essere tornati ai cupi giorni del 2005. Anche allora si parlava di fine dell’impero e Apicella, con il suo tocco naïf, le sue troppe interviste e il profluvio di particolari dal “tu” del capo “perché mi vuole bene” alle punture a Gigi D’Alessio, cominciava a dar fastidio. Nuvole passeggere, comunque. All’epoca, il fotografo Zappadu non recitava ancora da Diabolik e le feste di Villa Certosa eranosoltantoconviviinnocentinonancorasprofondatinell’onomatopeadisneyana,daTopolanekingiù. TralefinteeruzionidelvulcanoeisuonidiApicellagli ospiti sbarcati dagli aerei di Stato assistevano a momenti di non banale commozione tra la denuncia accorata, “In America nessuno critica Clinton perché suona il sax” (e infatti, le ombre erano quelle dello studio ovale) e un repertorio che divagava da Malafemmena a Torna a Surriento. Quando Silvio mise mano all’ars poetica IL SALTO avvenne in coincidenza con le velleità poetiche(tenutepertroppotempoariposo)diBerlusconi Silvio. Quando il premier mise la sua impronta , nulla fu più come prima. Tra le ninfe adoranti dello Sporting Hotel a due passi da Olbia, dove untempoballavanoSordielaVitti,sostavaunanuova coppia di fatto. Pomeriggi a Porto Rotondo, ragazze e camicie di lino bianco CAMICIA BIANCA , pantaloni in tono, ragazza d’accompagno e sorrisi di plastica. Versi petrarcheschi, in ogni caso: “Amore mio /mon amour/ lo sai nun te aspettavo proprio ’cchiu/ E mo ca tu stai ca nu saccio caggia fa, / si aggia ridere o chiagnere/ pecche e na felicità ca tu mo dici a me/ te voglio bene e voglio sul a te”, convinto sostegno delle televisioni di casa (Emilio Fede, Iva Zanicchi) con qualche ostacolo passeggero (parodia di Crozza, più divertente dell’originale). Apicella incassò. Denari, esibizioni e valutazioni complessive degli amici degli amici, quantomeno generose che l’interessato accettò come indubitabile verbo: “Mi hanno detto che neanche alle prime degli U2 si affolla un così gran numero di giornalisti”. Definitivamente traviato, Apicella fluttuò. Piovvero dischi, interpretazioni, testi empatici in cui leggere le gesta sentimentali del mentore: “Ogni tua stagione sarò/ cambierò i miei giorni e i tuoi, nel caldo estate se mi vuoi/ vento fresco io verrò... sì da te, dolce amore, io verrò” e titoli profetici come “Tempo di Rumba”: “Tempo di rumba/ tempo di te/ Stelle e corallo sul gilet/ Ventilatori freddo su me/ Tempo di rumba/ tempo di rumba tempo di rumba/ E aspetto te”. O ancora, la più malinconica “Me dice addio” : Tu chesta sera nun vuò fa’ amore /nun vuò guardarme dint’a’ ll’uocchie e dint’ò core/ Tu chesta sera/ Nun sì sincera/ E ‘sta carezza ca me daie/ nun è overa”. Il momento è quello. Nemici, doppiogiochisti, lotte di successione. Mariano oggi non sogna più di andare a Sanremo con un testo del “Presidente”, non rilascia improvvide patenti di giovialità: “Scajola è simpaticissimo” e sembra il cuoco di Salò dipinto da De Gregori. Vola più basso. Attende, spera. Menestrello di corte, finché la corte, neanche a dirlo, esisterà ancora.