Sergio Luciano, ItaliaOggi 9/9/2010, 9 settembre 2010
SWISSCOM SI MANGIA TUTTA FASTWEB
Una decisione più che legittima, del tutto comprensibile, per certi versi perfino tardiva, messa un po’ in ombra da una concomitanza imbarazzante: è la decisione di Swisscom, colosso delle telecomunicazioni svizzere, di lanciare un’opa residuale sulla sua controllata italiana Fastweb per toglierla dalla Borsa (in gergo: delistarla), racimolando il 18% circa di capitale ancora flottante, al prezzo di 18 euro per azione (+33% rispetto al valore precedente l’annuncio).
Obiettivo ufficiale degli svizzeri: «Assicurarsi maggiore flessibilità sul piano sia strategico sia operativo»; obiettivo reale, liberarsi dall’enormità di lacci e lacciuoli che una burocrazia ipertrofica e, soprattutto, una magistratura senza controllo né autocontrollo impone alle società quotate in Italia. Senza con questo riuscire a prevenire o estirpare il tanto marcio che alcune di esse nascondo: Parmalat docet.
La concomitanza imbarazzante consiste nel comportamento anomalo del titolo Fastweb registratosi in particolare nella seduta borsistica del 1° settembre, con un rialzo di quasi il 19%, interpretato appunto dagli osservatori come effetto degli acquisti di qualche soggetto molto bene informato sulle intenzioni degli svizzeri. Il rialzo anomalo era stato seguito (all’indomani) da una comunicazione ufficiale di Swisscom che diceva di non aver preso «alcuna decisione in merito all’eventuale acquisto delle quote di minoranza della controllata Fastweb» che «comporterebbe sia vantaggi che svantaggi». Un modo per non smentire ma neanche confermare una decisione che evidentemente in quel momento era già stata presa ma non poteva ancora essere formalizzata.
Non c’è pace insomma per la società milanese, leader in Europa nella banda larga, forte di oltre 1,7 milioni di clienti di cui circa 400 mila collegati in fibra ottica, fondata nel 1999 da Francesco Micheli e Silvio Scaglia e ceduta gradatamente dai soci fondatori fino all’uscita dello stesso Scaglia, nel 2003, a favore di Swisscom. La bufera giudiziaria che, da Roma, l’ha investita il 24 febbraio scorso, assieme a Telecom Sparkle (una controllata di Telecom Italia), per un’accusa di evasione fiscale e riciclaggio, conducendo all’arresto di Scaglia e di alcuni altri manager, ha introdotto una turbolenza organizzativa forte in un percorso di crescita costante, peraltro senza riuscire a interromperlo ma intralciandolo molto e, con tutta evidenza, senza buone ragioni. L’uso disinvolto del commissariamento previsto dal decreto 231 a vantaggio dell’autorità giudiziaria sulle imprese coinvolte in indagini penali, ha già partorito molti mostri e fatto molti danni, e uno di questi è appunto segnato dalla decisione di Swisscom di ritirare Fastweb dalla Borsa, indotta in buona parte (al di là di quanto il fair-play consenta agli stessi svizzeri di ammettere) dal gioco pericoloso dei giudici.
Il commissariamento era appunto stato minacciato dalla procura più volte, e scongiurato solo in cambio dell’autospensione dell’amministratore delegato di Fastweb, Stefano Parisi, anche lui indagato per fatti accaduti in parte prevalentemente prima del suo arrivo nella società. Nell’aprile scorso Parisi aveva dovuto autosospendersi dalla carica e accettare dagli svizzeri la nomina a capo della Swisscom Italia, continuando in sostanza a fare lo stesso lavoro di prima ma al riparo di questo passo indietro, un vero atto di sottomissione, estorto, verso la procura di Roma: l’alternativa sarebbe stata appunto subire il commissariamento da parte dei pm, che avrebbe portato, quello sì, alla paralisi gestionale dell’azienda. Intanto gli imputati principali dell’inchiesta sono in carcere e agli arresti domiciliari da sette mesi e Silvio Scaglia, imputato numero uno, nonostante si sia spontaneamente consegnato alla magistratura, resterà ancora dentro fino alla sentenza del processo, che inizierà il 12 novembre.
Quando ad aprile Parisi si autosospese e il suo posto venne preso, anche se solo ad interim, dall’aministratore delegato di Swisscom Carsten Scholoter, iniziarono a circolare, sommessamente, le voci di un delisting, motivato proprio dall’insofferenza degli svizzeri verso il ruvido trattamento subito dai giudici: «Altro che attrazione degli investimenti esteri in Italia, questo è un modo inequivocabile per respingerli» era stato il commento di molti osservatori finanziari. Al di là delle frasi di circostanza, obbligate in questi casi («abbiamo fiducia nella magistratura») era chiaro il fastidio e, di più, il risentimento di Swisscom per aver dovuto pagare pegno di una situazione pregressa alla quale erano sostanzialmente estranei.
Il resto, sarà materia di cronaca finanziaria. Il global coordinator dell’Opa, quasi certamente Credit Suisse, e lo studio Legance che assisterà Swisscom Italia nel lancio dell’Opa, completeranno rapidamente le procedure di legge. E il controverso decennio borsistico di Fastweb si concluderà oltre confine, tra i più tranquilli cantoni elvetici.