Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Amanda Knox è stata condannata a 28 anni e sei mesi di reclusione, Raffaele Sollecito a venticinque anni. Stiamo parlando del delitto di Meredith Kercher, uccisa a Perugia nel novembre del 2007 e per il cui assassinio era già stato condannato a sedici anni («concorso in omicidio») l’ivoriano Rudi Guede. La camera di consiglio è durata undici ore. La sentenza può ancora essere rivista dalla Cassazione, e fino a quel momento i due condannati sono liberi. Amanda è a Seattle, a casa della madre e non ci sono speranze che possa essere estradata, dato che gli americani non consegnano mai a una giustizia straniera un loro imputato/condannato. In un’intervista rilasciata attraverso Skype al “New York Times” proprio ieri ha detto: «Nulla potrà cancellare l’esperienza di essere stata ingiustamente imprigionata. Sono stata descritta come una persona diabolica, ma io non sono così, sono diversa da come mi hanno dipinta. Non sarò in aula perché mi sarei messa nelle mani di persone che hanno dimostrato chiaramente di volermi in carcere per qualcosa che non ho fatto. E io non posso farlo. Proprio non posso. Le persone che mi accusano sostengono che non può essere fatta giustizia per Meredith sino a che io non verrò condannata». Raffaele - cappotto blu, maglioncino viola con appesi sulla scollatura gli occhiali da sole - è apparso un momento in aula ieri mattina, ma poi, con i familiari che gli stavano vicino, è andato via e al momento in cui è stato letto il verdetto non era presente. Il padre aveva detto ai giornalisti: «Non ce la facciamo». In precedenza, alla domanda: «Si aspetta un verdetto equo?», Sollecito, che è un informatico, aveva risposto: «La giustizia è come una roulette: domina il random, il caso. Se trovo un giudice corretto, avrò un processo corretto. Se ne trovo uno che ha fissazioni mentali, la sentenza sarà piena di fissazioni. Se il giudice fa parte di un gruppo di persone che vogliono esercitare il loro potere... È come in una guerra tra gli dei».
• Che cosa sappiamo delle ragioni che hanno spinto i giudici di Firenze a una condanna tanto pesante? E la precedente sentenza era stata di assoluzione!
La prima sentenza era stata di condanna. L’appello, che ebbe luogo a Perugia, decise per l’assoluzione, con l’argomento, supportato da perizie dello stesso tribunale, che le prove erano state contaminate. La Cassazione aveva però annullato questo secondo verdetto, ordinando di rifare l’appello, spostando il dibattito a Firenze e ordinando ai nuovi giudici di avere «una visione unitaria» delle prove. Nella sua arringa finale, il procuratore generale Alessandro Crini, parlando per un totale di dodici ore, aveva chiesto 30 anni per la Knox e 26 per Raffaele, richiesta che è stata accolta quasi integralmente. Di più non possiamo sapere fino a che non sarà resa nota la motivazione della sentenza.
• Come aveva argomentato la sua richiesta il procuratore generale?
Crini sostenne - ed è la terza versione che sentiamo in aula - che non si trattò di un’orgia finita male, ma di una litigata tra Meredith, Amanda e Raffaele per il fatto che Guede era andato in bagno senza tirare l’acqua, circostanza vera come emerse dal primo sopralluogo. Rudy avrebbe aggredito Merdeith, l’avrebbe tenuta ferma con una mano e avrebbe abusato di lei con l’altra mano, mentre Sollecito e la Knox, armati di coltelli (secondo Crini i coltelli del delitto sono due), la colpivano. A suo dire il colpo fatale sarebbe stato inferto da Amanda.
• Regge?
Vedremo la motivazione. Se un giallista descrivesse la dinamica di un delitto in questo modo, si vedrebbe rifiutare il libro dall’editore. Del resto, in questo paese è stato inventato da un magistrato onoratissimo da tutti il «malore attivo».
• Qual è l’elemento che avrebbe incastrato una volta per tutte Sollecito?
Il gancetto del reggiseno di Meredith, dove risulterebbero tracce sue. Problema: è stato repertato 46 giorni dopo il sopralluogo. La polizia scientifica l’ha trovato a un metro di distanza da dove l’aveva fotografato la prima volta.
• Che cosa hanno detto i parenti di Meredith?
Alla vigilia Stephanie, la sorella di Meredith, ha rilasciato una dichiarazione che lascia senza fiato per equilibrio e serenità: «Per oltre sei anni siamo dovuti scendere a patti con questo processo e col baillamme mediatico, e provare a continuare la nostra vita. Il verdetto è una scadenza da onorare per la memoria di Meredith, non una fonte di rivincita o della verità. Sappiamo che i giudici e i giurati non conoscono con certezza la Verità. Vorremmo che il processo e le chiacchiere intorno ad esso finissero oggi per poterci concentrare solo sul nostro dolore e sul ricordo di Meredith. Tanto, nessuno ci ridarà mia sorella e la nostra vita è finita». Amanda ha scritto a Stephanie una lettera. Stephanie ha fatto sapere: «Oggi non la vorrei leggere».
(leggi)