Francesco Cundari, l’Unità 31/1/2014, 31 gennaio 2014
ZORO, L’APPARATO E IL CONTRO-RIFLUSSO
IL CASO
Se gli anni ottanta sono stati gli anni del riflusso nel privato e nel particolare, dopo la sbornia di impegno sociale e solidarietà internazionale dei decenni precedenti, non è poi così strano che oggi, dopo oltre tre decenni, compaiano qui e là i segnali di una sia pur timida inversione di tendenza. Di certo nessuno incarna i valori e il gusto degli anni ottanta più di Silvio Berlusconi.
Quanto a Matteo Renzi, non ha molta importanza stabilire se sia il suo erede di sinistra, come dicono i critici, o la versione italiana di Tony Blair, come dicono i suoi sostenitori. D’altronde, cos’è stato il blairismo, con la sua enfasi su modernizzazione e flessibilità, efficienza e meritocrazia, se non la filosofia degli anni ottanta arrivata a sinistra con un decennio di ritardo? Un processo giunto a compimento anche sul piano simbolico con il leader del Pd che si presenta da Maria De Filippi indossando il giubbotto di Fonzie. La novità è che a margine di questo processo è germogliata a sinistra anche una singolare forma di alternativa.
Il primo segnale è stato il fenomeno Zoro, nato non a caso a margine delle primarie del 2007, quando Walter Veltroni diceva «we can» con lo stesso spirito con cui oggi Renzi dice «Jobs Act», e il giovane blogger Diego Bianchi iniziava la sua carriera di videomaker accentuando il contrasto tra il suo romanesco e gli slogan del nuovo Pd. Anche in questo modo Zoro dava voce a una curiosa forma di telematica Ostalgie – come nella Germania riunificata si chiamava la nostalgia dell’Est – tutta incentrata sulle sofferenze dello storico militante di sinistra, quello del Pci-Pds-Ds (o meglio, per ragioni anagrafiche, della Fgci-Pds-Ds). Così, ad esempio, al tempo della formazione delle liste per le primarie e delle polemiche sulla logica delle «figurine» (uno dei tanti aspetti della spettacolarizzazione della politica), Zoro metteva in scena una sua immaginaria telefonata con Veltroni: «Senti, Walter, stai a fa’ le liste? Ma secondo te, dato il mio profilo... no, non so’ gay... eh no, non so’ manco donna... no, non so’ negro... non so’ manco più tanto giovane... no, non sono imprenditore, il call center non l’ho fatto... però ho fatto un po’ di politica... ah, dici che è peggio?».
È significativo che un analogo impasto di nuove tecnologie, nostalgia e satira politica si sia ripresentato alle primarie del 2013, con i «Marxisti per Tabacci», pagina Facebook da oltre 32 mila seguaci, costellata di surreali citazioni leniniste attribuite al grande leader rivoluzionario di Centro democratico (e prima della Dc), con esilaranti fotomontaggi che attribuiscono i suoi tratti agli eroi del socialismo.
Ancora più recente è poi il fenomeno de «L’Apparato» («l’eterno nemico dei giovani e del nuovo»), pagina facebook da 26 mila seguaci, profilo Twitter da 10 mila, dove i luoghi comuni del dibattito pubblico appaiono rovesciati in caricatura, in una chiave che tuttavia lascia sempre nel lettore il fondato sospetto che si stia parlando seriamente. Un fenomeno che ha già prodotto anche un libro («Il libretto grigio». Editori internazionali riuniti), in cui i Burocrati del Comitato Centrale hanno raccolto le molte perle di saggezza dispensate in questi mesi. Per esempio, ai tempi delle polemiche sulla data del congresso Pd: «Comunichiamo infine la data del congresso. È stato una settimana fa». O la sera stessa della “non vittoria” elettorale del centrosinistra: «Che cosa pretendevate per 2 euro?».
Quello che colpisce di più in questa affermazione del vintage politico è che viene da giovani che l’epoca cui alludono con rimpianto non hanno mai vissuto (i marxisti per Tabacci provengono per lo più dall’organizzazione universitaria della Cgil, i burocrati dell’Apparato dai Giovani democratici).
Più o meno della stessa generazione e della stessa provenienza, non per niente, sono pure gli animatori del blog politico-calcistico «Volevo il rigore» (volevoilrigore.wordpress.com), che nel loro manifesto dichiarano subito e senza mezzi termini: «Siamo di sinistra, contro il calcio e la politica moderna, ci piacciono i comizi e non le interviste, la doppia morale togliattiana la pratichiamo fino in fondo e per novanta minuti perdoniamo tutto ai nostri presidenti, anche se si chiamano Berlusconi, Agnelli o De Laurentis». Giovani nostalgici che per la loro surreale riabilitazione del vecchio mondo, paradossalmente, si servono di internet, dei social network e di tutti gli strumenti che solo la rivoluzione informatica ha messo loro a disposizione.
GIOVANI NOSTALGICI
Può darsi, naturalmente, che si tratti di fenomeni marginali, minoranze creative che non incroceranno mai maggioranze e senso comune. Sta di fatto però che il loro precursore, Diego Bianchi, con il suo personaggio ci ha fatto un programma su Raitre, Gazebo, che è già alla seconda stagione. Ed è difficile capire quanto il successo dell’Apparato sia dovuto al puro gusto per la satira politica («I cittadini devono sapere chi ha vinto la sera prima delle elezioni», scrivono in questi giorni di dibattito sulla legge elettorale) e quanto alla segreta speranza che un giorno riveli ai suoi 26 mila seguaci che è tutto vero, che un Apparato esiste ancora e magari si è già reinsediato a Botteghe Oscure.
Il successo di questi giovani e modernissimi nostalgici potrebbe essere dunque il sintomo di un fenomeno più profondo, quarant’anni dopo Ronald Reagan, il Drive In e Happy Days. La ribellione di una generazione che negli anni del riflusso ci è nata e cresciuta, con tutti i suoi effetti speciali e la sua ossessiva retorica dell’innovazione, e oggi comincia a non poterne più. Il riflusso del riflusso, insomma. Una generazione di militanti di sinistra che in questo mondo, pur essendoci cresciuta dentro, è rimasta a lungo spaesata, e che anche attraverso la realtà virtuale delle sue singolari costruzioni politico-satiriche (perlopiù, non a caso, opere collettive e anonime), mostra l’insopprimibile desiderio di un futuro forse più grigio, ma autentico.