Filippo Ceccarelli, la Repubblica 31/01/2014, 31 gennaio 2014
DALLE LOTTE CONTRO LA LEGGE TRUFFA ALLE PROTESTE IN DIRETTA STREAMING COSì CAMBIANO I GUERRIERI D’AULA
DALLE LOTTE CONTRO LA LEGGE TRUFFA ALLE PROTESTE IN DIRETTA STREAMING COSì CAMBIANO I GUERRIERI D’AULA –
SONO diversi, e in che cosa, i tumulti grillini da quelli della pur ricca tradizione parlamentare italiana?
La risposta è necessariamente ambigua: sì e no. Sono più estesi e diffusi, ad esempio; un tempo tutto avveniva più o meno in aula, con appendici nel Transatlantico, al giorno d’oggi gli spazi di contesa - come li definiscono i sociologi - si moltiplicano nelle commissioni e specialmente dinanzi alle telecamere. L’obiettivo di fondo, il nirvana della guerriglia, è plausibilmente la simultaneità, se possibile in diretta streaming e connessione con la piazza antistante.
Di qui la seconda differenza rispetto al passato. Più che intensa, la baraonda a cinque stelle è e deve essere visibile. O meglio, in un tempo dedicato all’immagine ha tutta l’aria di essere stata allestita secondo una sensibilità eminentemente televisiva. Nella Prima Repubblica nessuno si sarebbe mai sognato di inalberare cartelli, striscioni, bandiere, tanto meno di indossare bavagli e suonare il fischietto.
Va da sé che la pulsione coreografica, per così dire, non riguarda solo i deputati del M5S. In pieno bailamme, per dire, gli onorevoli di Sel gli hanno risposto dai loro banchi intonando «Bella ciao». Non è nemmeno la prima volta che a sinistra reagiscono in questo modo, ma sarebbe comunque molto complicato spiegare a un osservatore straniero non si dice qui l’efficacia, ma anche soltanto il senso di quella canzone, in quel momento, e rivolta a quegli altri deputati e deputatesse.
A meno di non ritenere, sulla base di altri analoghi episodi, che l’esibizione «spettacolare», molto tra virgolette, e gli aspetti scenici e sonori abbiano ormai assoluta preminenza sullo scontro fisico. A questo proposito, checché se ne dica, i tumulti di questi giorni paiono o forse sono molto meno violenti di quelli vissuti da tre o quattro generazioni di giornalisti parlamentari quando ancora in tribuna non c’erano le telecamere, tantomeno la moviola a disposizione del collegio dei Questori.
Si può anche azzardare che i guerrieri d’aula, ma un po’ tutti i parlamentari, avessero ai tempi assai meno paura di farsi male. Forse l’attuale prudenza è un effetto positivo della fine delle ideologie. Forse è l’incerta leggerezza delle culture politiche a spingere in direzione della caciara piuttosto che liberare la più fredda e brutale aggressività. Ma nelle «risse che furo» esistevano veri e propri specialisti. Il fratello di Pajetta, Giuliano, era detto «il Giaguaro» per la contundente agilità con cui balzava da uno scranno all’altro, ma anche il gruppo dc disponeva di robusti e rinomati Coldiretti per nulla affatto disposti a lasciarsi intimidire.
Anche i radicali, che negli anni 70 e 80 erano pochissimi e anche non violenti, mostravano un certo animo e un’indubbia, a volte persino eroica attitudine a far saltare i nervi, specie ai comunisti, ma anche ai missini. Oggi è un brulichio di anonimi personaggetti. Prima erano calci e pugni, ora si tratta di pacche e manate più o meno involontarie, spintarelle, sputi, al massimo morsi.
Vero è che per risalire alle pietre miliari della violenza parlamentare tocca tornare molto indietro. L’ostruzionismo delle sinistre sul Patto Atlantico (1949) e quello al Senato sulla legge truffa. In quest’ultimo caso, la domenica delle Palme del 1953, nel corso di una seduta di cui non fu mai approvato il verbale, la scazzottata durò la bellezza di 35 minuti. Il presidente dell’assemblea, il povero Meuccio Ruini, peraltro subentrato dopo le dimissioni dello spaventatissimo Paratore, fu centrato da un pesante calamaio in testa e prima di cedere ebbe il tempo di esclamare: «Viva l’Italia!». Ma la furia fu tale che vennero brandite le sedie degli stenografi, sradicate e poi lanciate le tavolette dei banchi, così come le aste dei microfoni usate a mo’ di lance.
Ora, non è per addentrarsi su terreni tecnicamente impervi, ma l’impressione è che l’altro giorno, magari per l’effetto-sorpresa, non abbia funzionato troppo bene o che occorresse rafforzare il muro dei giganteschi commessi, di solito impeccabili. Forse lo sfondamento è avvenuto con eccessiva facilità. Forse i questori di un tempo avevano una maggiore tenuta psicologica.
E dinanzi a casi del genere, per quel poco che importa, ci si sente inesorabilmente vecchi, ma il punto vero è che forse il Parlamento è davvero molto cambiato, nel senso che ha perso peso, serietà, gravità, indipendenza, in una parola cultura istituzionale. E non c’entrerà nulla, ché anzi su questi problemi è bene che si torni a legiferare in maniera intelligente, ma neanche a farlo apposta proprio nel giorno della zuffa, passeggiando nel cortile che un tempo ospitava l’aula Comotto, proprio là dove nel 2006 l’onorevole no global Caruso aveva piantato cannabis, un deputato di derivazione leoncavallina si è rollato e fumato una canna.
Tutto è successo così in fretta, anche nei tafferugli. Dall’epopea western alla commedia, fino ai cartoni animati. Oppure, se si preferisce, il tifo dello stadio si è insediato nelle istituzioni rappresentative. In ogni caso la «super-cazzola» evocata dal democratico Di Lello, le monete di cioccolata, i pompini, il perdono del commesso morsicato, l’incongruo «boia chi molla» accompagnano e alimentano il parapiglia. Dalla politica all’isteria il passo evidentemente era breve, ma solo nel caos ci si rende conto di averlo purtroppo compiuto.