Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 31 Venerdì calendario

ECCO PERCHÉ L’AMERICANA NON TORNERÀ MAI PIÙ IN ITALIA


IL TRATTATO
ROMA Per ora resta negli Stati Uniti Amanda Knox. Per lei la Corte di Appello di Firenze non ha chiesto nessuna misura cautelare, contrariamente al divieto di espatrio e al ritiro del passaporto imposto a Raffaele Sollecito. Due strade diverse, quelle degli ex fidanzatini ritenuti colpevoli dell’omicidio di Meredith Kercher. Due strade che potrebbero non incontrarsi mai neanche in futuro, neanche se la Cassazione dovesse confermare il verdetto di colpevolezza per entrambi. E questo nonostante l’esistenza di un trattato sull’estradizione delle persone condannate sottoscritto tra Italia e Stati Uniti nel 1983. Un trattato in base al quale gli Usa, in linea di principio, sarebbero tenuti a far tornare Amanda nel nostro Paese, perché ciò di cui è accusata - l’omicidio - non è certo un reato politico né rientra tra i casi in cui l’amministrazione Obama potrebbe rifiutare l’estradizione. Ma i principi della ”common law” sono ben diversi da quelli della ”civil law” nostrana. Ed è nelle pieghe di questa differenza che, nel caso in cui la Suprema Corte tra qualche mese dovesse confermare le condanne, Sollecito finirebbe in carcere e Amanda potrebbe rimanere a Seattle.
LA PRIMA ASSOLUZIONE
Negli Stati Uniti vige infatti il principio del “double jeopardy”, ossia la norma costituzionale per cui una persona assolta non può essere processata una seconda volta sulla base delle stesse accuse. E in effetti Amanda era stata già assolta in appello, a Perugia, nel 2011. Verdetto, questo, annullato con rinvio dalla Cassazione che ha imposto un secondo processo. Ieri la condanna. Per gli americani questo ping-pong è incomprensibile e, per certi versi, inaccettabile perché in contrasto, appunto, con il ”double jeopardy”. I thriller e i film americani per certi versi ci hanno abituato a questo principio: mariti o amanti che dopo essere stati giudicati innocenti per l’omicidio delle compagne non possono più finire sotto processo anche in caso di nuove prove a loro carico (”Il caso Thomas Crowford” o ”Presunto Innocente”). In Italia, invece, i processi si possono fare e rifare, fintanto che la Cassazione non dirà la parola fine.
L’ESTRADIZIONE
C’è da dire, poi, che il meccanismo dell’estradizione non ha tempi brevi, anche in caso di trattati bilaterali come quelli in vigore tra Italia e Usa. Ecco forse il perché la Corte di Appello di Firenze non ha deciso una misura cautelare anche per Amanda: farla tornare in attesa del verdetto della Cassazione sarebbe stato pressoché inultile. Si sarebbe dovuto mettere in moto un meccanismo per il quale generalmente servono sei-otto mesi. La procedura, però, dovrebbe essere attivata in caso di condanna definitiva della Cassazione. La richiesta partirebbe dal ministro della Giustizia italiano con la diffusione delle ricerche in campo internazionale e con la richiesta agli Usa, per via diplomatica, di estradizione di Amanda. È bene però ricordare che il Guardasigilli ha la facoltà e non l’obbligo di inoltrare la richiesta di estradizione. Anche nel caso di reati comuni, quella del ministro italiano resta sempre una valutazione di carattere politico. Perché i rapporti di “buona amicizia” tra Italia e Usa possono anche esser prevalenti rispetto agli obblighi previsti dai trattati internazionali.