Vittorio Zincone, Sette 31/01/2014, 31 gennaio 2014
«ABBIAMO PERSO LA GUERRA DEL DEBITO PUBBLICO
SENZA NEANCHE COMBATTERE» [Intervista a Guido Maria Brera] –
Arriva all’appuntamento nel piazzale della stazione di Milano in bicicletta. Sneackers ai piedi e abito blu. Tiene in mano una borsetta di tela con dentro un paio di fogli e una copia, in bozza scarabocchiata, del suo primo romanzo: I diavoli (Rizzoli). Guido Maria Brera ha 44 anni. A trenta è stato tra i fondatori di Kairos, società di gestione del risparmio, ed è finito più volte nelle classifiche dei super ricchi italiani. Romano, galleggia tra le stanze meneghine della finanza e i boschi del Trentino Alto Adige. Quando gli chiedo se la sua vita abbia qualcosa a che fare con quella dei protagonisti di The Wolf of Wall Street, tutta coca, orge e capricci funambolici, scuote la testa: «Il tempo dello show off è finito. Ora si gioca a non apparire. Il vero lusso è il tempo. E tutti quelli che hanno successo nella finanza hanno una charity». La beneficenza per smaltire i sensi di colpa? «Io all’inizio mi vergognavo dei miei guadagni. Per molti anni sono stato al fianco di Fratel Ettore, un prete di strada che aiuta i senza tetto». Lo provoco: «Ora sei caduto nel gorgo degli stereotipi patinati: il ricco finanziere che si fidanza con la bella showgirl, Caterina Balivo». Replica: «È vero. Ma giuro che quando l’ho conosciuta non sapevo chi fosse».
Brera considera incivile il livello di sperequazione raggiunto nel pianeta tra ricchi e poveri. E sostiene che sia delittuoso il modo in cui si sta lasciando morire la classe media. Se gli fai notare che sono anche quelli come lui ad aver confezionato queste ingiustizie, si tira fuori: «Io sono per la finanza di una volta, che serve a finanziare idee e progetti di chi non ha abbastanza soldi».
Il libro: storia di un trader milionario che arriva a giocare con la sopravvivenza dell’Occidente. Parliamo degli Dei della finanza che si sono trastullati con il nostro debito pubblico. L’ultima crisi, lo spread, le speculazioni… A un certo punto Brera dice: «Da quattro anni sono diventato patriottico. Prima non lo ero. Ma ho visto l’Italia perdere una guerra, quindi…». Partiamo da qui.
L’Italia ha perso una guerra?
«Quella sul proprio debito pubblico. Abbiamo perso senza combattere».
Quando è iniziata questa guerra?
«Quando gli americani hanno cominciato a finanziare il proprio debito stampando moneta come forsennati. L’operazione aveva un senso solo se il dollaro fosse rimasto un bene rifugio, una moneta forte. E allora che cosa hanno fatto?».
Dimmelo tu.
«Hanno acceso un riflettore sull’euro ed è partito un attacco contro i Paesi più deboli, i più indebitati».
La Grecia… L’Italia…
«Esatto. Hanno cominciato a vendere i nostri titoli di Stato. Nel giugno 2011 il contagio era avviato. E anche i francesi e i tedeschi si sono messi a vendere. I segnali erano visibili».
Potevamo reagire?
«Sì. Ma nell’era dei mercati che travolgono i Paesi non avevamo nessuno al governo esperto di mercati».
Sono passati 30 mesi. Lo spread si è riassestato a quota 200. Siamo fuori dalla crisi?
«Con il 40% di disoccupazione giovanile? Direi proprio di no. Le tensioni sociali sono un rischio reale».
Hai l’occasione di dare un consiglio al duo Letta/Renzi.
«Finiscano i compiti facendo tagli e riforme strutturali della burocrazia e poi vadano in Europa a dire: o ci fate sforare il 3% del rapporto deficit/Pil, oppure, dato che non siamo la Grecia e abbiamo un avanzo primario che ci permette di vivere alla grande, noi ristrutturiamo il debito, facendolo ricomprare agli italiani».
È la minaccia di chi sembra pronto a far saltare l’euro.
«Io amo l’euro. Ma oggi l’euro non esiste. Sarà una vera moneta solo quando tutte le banche saranno garantite allo stesso modo e quando ci sarà un unico debito, fatto di Eurobond».
I tedeschi sono contrari agli Eurobond.
«Li concederanno quando sarà tardi. Quando l’Italia sarà con l’acqua alla gola e ormai avrà venduto tutti i gioielli di famiglia. È per questo che Renzi ha fretta: sa che ogni giorno in Italia chiudono capannoni, le imprese vengono svendute e i risparmi degli italiani si assottigliano».
Da come li descrivi nel libro I diavoli, non sembri disprezzare i “cattivi” che hanno speculato sui nostri titoli di Stato.
«Mi sono immedesimato nel diavolo. E alla fine il diavolo un po’ mi ha convinto. La finanza ha provato a gestire una situazione di declino dell’Occidente».
L’Italia è stata catapultata in un triennio di austerity.
«I mercati hanno fatto emergere delle debolezze. Poi è stata la politica a fare determinate scelte. Gli europei è da un po’ che sbagliano scelte strategiche».
Mi fai un esempio?
«Perché l’Europa non si è dotata di una agenzia di rating? Perché gli europei non hanno investito per creare un loro motore di ricerca? Oggi tutte le informazioni passano attraverso motori di ricerca e social network. Siamo la culla della civiltà, ma per colpa di scelte toppate i nostri figli vivono e vivranno un immaginario creato dagli americani».
Quando hai cominciato a occuparti di finanza?
«Appena laureato in Economia, cominciai a collaborare con l’Università. Volevo insegnare. Dopo qualche mese il professore mi disse: “Lei è sveglio. Vada fuori a lavorare”. Il primo incarico fu a Milano presso Fineco, che allora era un vero e proprio hedge fund».
Che cosa facevi?
«Praticamente fotocopie. Un giorno un broker entrò nella sala comune e disse ad alta voce: “C’è da fare una regata in Tunisia. Chi può partire domani?”. Io veleggio da quando sono ragazzino. Accettai l’invito, andai e vinsi. Da quel momento il mio capo cominciò a notarmi di più. Si accorse che ero bravo e mi affidò un fondo da gestire. E grazie a quel fondo venni notato da una banca inglese».
Ti fecero un’offerta milionaria?
«Mi decuplicarono lo stipendio. Ma a convincermi ad andare con loro fu la macchina sportiva che mi misero a disposizione».
Nel 1999 insieme con Paolo Basilico hai fondato Kairos.
«Non avevo ancora trent’anni. Mi trasferii a Londra. Dopo un po’, avendo due figli, decisi di spostare la famiglia in una cittadina di montagna. Trasmettere l’amore per la natura mi sembrava un bel regalo per loro. E serviva anche a me, perché facevo una vita davvero stressante».
Qual è la cosa più assurda che ti è successa da quando fai questo mestiere?
«Scoprire dal vivo la distanza tra i numeri e la realtà».
Cioè?
«Partito per la Bulgaria per visitare un’azienda di riciclo ecologico quotata in Borsa di cui eravamo azionisti, sono arrivato nella periferia di Sofia e mi sono trovato di fronte a una scena da incubo: un signore col cappotto seduto a un tavolino in un piazzale distribuiva la paga giornaliera in nero a una fila interminabile di donne e bambini. Un trauma».
Qual è la scelta che ti ha cambiato la vita?
«Scrivere un libro mettendoci dentro quello che penso davvero. All’inizio doveva essere il soggetto per un film. Ho cominciato prima della crisi di Lehman Brothers. Chiamai un amico sceneggiatore e gli dissi: guarda che qui crolla tutto».
L’errore più grande che hai fatto?
«Pensare di avere tutto sotto controllo».
Spiegati meglio.
«Qualche anno fa una persona a me molto cara improvvisamente ha avuto problemi di salute. In quel periodo andavo a mille e potevo permettermi quel che volevo. Mi sono accorto che certe cose non le puoi controllare. E sono entrato in crisi».
Che cosa guardi in tv?
«Ne guardo poca. Soprattutto talkshow politici e tg».
Il film preferito?
«Prima della pioggia di Milcho Manchevski».
Il libro?
«La danza immobile di Manuel Scorza».
La canzone?
«Il suonatore Jones di Fabrizio De André».
Sai qual è l’articolo 41 della Costituzione?
«No».
È quello sull’utilità sociale dell’impresa. Quanto costa un pacco di pasta?
«Un euro circa. Da un po’ di tempo mi diverto a prezzare i beni in litri d’acqua».
Come, scusa?
«Per produrre un chilo di carne, servono sedicimila litri d’acqua. Per produrre un chilo di uova, tremila… L’acqua potrebbe essere il business del futuro».