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 2014  gennaio 31 Venerdì calendario

GIPI ZERO CALCARE


Si passano vent’anni esatti esatti. Sono nati lo stesso giorno, il 12 dicembre: Gipi nel 1963, Zerocalcare nel 1983. Gipi (nome d’arte di Gianni Pacinotti) è da anni un nuovo poeta del fumetto, capace di disegnare parole e parlare attraverso disegni e acquarelli, con la maestria di chi sa fermare il racconto perinondarlo di emozioni. Fa notizia che il suo ultimo libro una storia (pubblicato da Coconino-Fandango) sia candidato al Premio Strega. Zerocalcare (nome d’arte di Michele Rech) per certi aspetti è il contrario di Gipi: i suoi libri sono di una forza comica straordinaria, che scaturisce dal contrasto tra le proprie debolezze e le storture del mondo.Entrambi hanno una formazione tutt’altro che accademica: Gipi si è definito “un disadattato della provincia” (quella pisana) e prima di arrivare al fumetto ha lavorato come grafico. Zerocalcare cresce nel Forte Prenestino occupato, dove da anni si organizza “Crack!”, un vitale festival del fumetto indipendente. Michele è uno straight edge: niente droga, alcool, fumo o sesso occasionale. Pochi giorni fa ha annunciato sul suo blog che Valerio Mastandrea dirigerà un film dal suo primo libro, La profezia dell’armadillo.
La sceneggiatura è già stata scritta da lui, Mastandrea, Johnny Palomba e Oscar Glioti. L’incontro con Gipi e Zerocalacare avviene al Palazzo delle Esposizioni a Roma, per vedere Anni Settanta, arte a Roma.
Curata da Daniela Lancioni, la mostra raccoglie le opere di chiquarant’anni fa ha dato una nuova dimensione a spazi e gallerie, creando «un’arte che risponde destrutturandosi all’alienazione del quotidiano», come ha scritto su queste pagine Achille Bonito Oliva. Lo sguardo di Gipi e Zerocalcare è perplesso di fronte a queste visioni, provocazioni e stimoli d’annata.
Gipi: Io non posso che avere una reazione da ignorante e il mio sentimento non si muove. E se non si muove non posso farci nulla. Però voglio chiarire: la mia licenza di terza media non mi costringe ad avere una figura davanti a me. A quattordici anni mi sono ritrovato davanti a un quadro di Pollock senza sapere chi fosse e mi ci sono staccato tre ore e mezzo dopo.
Zerocalcare: Io sento davvero di non averci nulla a che fare. Poi io non ho un percorso artistico, tutt’altro. Io vengo dalle locandine dei concerti punk, un altro mondo. E le influenze degli anni Settanta sono solo politiche.
Però questa è arte che ha infranto le regole, che ha inventato nuove libertà.
Gipi: Sì, questo è il punto di contatto. La libertà nella creazione è fondamentale. Ma per me la narrazione è la forma comunicativa numero uno. E io continuerò sempre a pensare che qualcosa che ha un anelito sincero di comunicazione vale di più di un’arte fatta per una élite. Non mi interessa quell’atteggiamento. Preferisco Omero.
Ma il suo fumetto è anche sofisticato. È narrazione ma con immagini, silenzi, vuoti.
Gipi: Certo. Nel mio ultimo libro le otto pagine centrali sono senza parole, per cui io chiedo al lettore uno sforzo di concentrazione, di presenza, di abbandono sul disegno nel punto che è il più importante del libro. Potevo tranquillamente risolvere con una bella voce narrante. Invece ho tolto le parole. E sembra che questa scelta sia piaciuta, con i lettori ci siamo capiti anche così.
Michele, il processo di identificazione sembra fondamentale per entrare nel suo vortice comico.
Zerocalcare: Io quando ho iniziato pensavo di fare una cosa solo mia, non pensavo di essere lo specchio di nessuno. Poi andando avanti mi sono accorto che le mie paranoie sono piuttosto diffuse e ordinarie. Questo mi ha causato una crisi d’identità gigantesca. Ho sempre pensato di essere un’altra cosa rispetto all’enormità. Io ero di una piccola tribù, e vedere così tanta gente che condivide quello che faccio su Facebook per me è terribile. È una cosa su cui devo continuare a fare pace con me stesso.
In che senso fare pace? È un problema tutto il suo successo?
Zerocalcare: Io sono figlio di un tipo di cultura che schifa il genere mainstream e anche con i giornalisti vivo un rapporto superconflittuale. Per questo è difficilissimo tenere tutto in equilibrio: per non sputarmi allo specchio e per non essere linciato stasera quando torno nella mia comunità, devo stare molto attento a bilanciare ogni cosa. A me quello che davvero mi gratifica non sono i numeri di vendita, non i messaggi su Facebook, ma sapere che la comunità cui appartengo non mi rinnega. Quello è l’amore di cui ho bisogno. Altrimenti quello che mi sta accadendo lo vivo malissimo, pieno di sensi di colpa.
La sua ironia per esempio non è mai entrata nel Forte Prenestino.
Zerocalcare: Non potrei mai. Non perché non ci veda aspetti divertenti e anche grotteschi, ma perché non metterei mai in piazza le nostre storture o debolezze. Se sei ironico devi avere una certa distanza nei confronti di quello di cui parli. Oppure lo fai sulla parte avversa, ma allora diventa propaganda, qualcosa di rancoroso, che non mi piace. Quindi le uniche debolezze su cui riverso la mia attenzione sono le mie debolezze, le mie storture. Così, attraverso me stesso, parlo del mondo.
Gipi, nelle presentazioni del suo ultimo libro ha spesso parlato del successo come un problema.
Gipi: È simile a quello che accade con le droghe pesanti. Tutto dipende da che famiglia hai avuto. Se hai avuto una famiglia che ti ha amato come si deve il successo lo reggi, se hai avuto delle carenza d’amore può diventare letale. Se ti va a riempire un buco d’amore che avevi sei fottuto. L’amore del pubblico sulle prime ti dà l’idea di riempirlo davvero e poi ti accorgi che quel vuoto in realtà te lo amplia. Perché quello è un amore che deriva dal fatto che tu sei bravo, che sei efficiente. Mentre io sono convinto che l’amore di cui ha bisogno una persona, e soprattutto un bambino per diventare un buon essere umano, sia l’amore che ricevi quando sei sbagliato, storto, inefficace. Il problema è che questa metodologia si tramanda di padre in figlio. Mia madre mica è stata cattiva. Solo che ha conosciuto solo quel modo di amare. E quindi poi uno si modella per essere amato. Ma tu magari avevi altri desideri che non l’essere bravo.
Quali sono stati i momenti in cui questa contraddizione è venuta
fuori?
Gipi: Dopo il successo di La mia vita disegnata male, dopo l’intervista televisiva con Daria Bignardi. Cioè da quando da un giorno all’altro sono passato da essere un fumettista che vendeva uno a essere un fumettista che vendeva cento. Il giorno dopo la mia intervista avevo messaggi di quattrocento donne che mi volevano conoscere. E io sono brutto. Già quello cambia. Cambia l’immagine che tu hai di te. Cambia il tuo passo. Andavo al ristorante e mi trovavano sempre il posto, mi riconoscevano. E così l’immagine di te si modella per piacere a questa nuova mamma. E poi io ho fatto quel libro che era un’autobiografia cosiddetta molto sincera. E allora sentivo dire “mi piaci perché sei vero”, questa frase terrificante che dalla nascita di Maria De Filippi in poi ha assunto un connotato impronunciabile. E allora davvero non capisci più nulla: sei tu o sei la tua rappresentazione? Così sono finito a quattro zampe in psichiatria a chiedere aiuto.
E il tappeto rosso del festival di Venezia per il suo film
L’ultimo terrestre?
Gipi: Nessun problema. Ero già stato in psichiatria e avevo tutti gli anticorpi pronti per quella doccia di vanità. Poi il film è uscito nelle sale non c’è andato nessuno e se anche avessi voluto montarmi la testa un’altra volta non ci sarebbe stato il materiale. È stata una bella cosa quella, una bella botta alle gambe.
Ritornando alla mostra e agli anni Settanta, allora Battiato cantava “Aria di rivoluzione”. Che aria sentite voi?
Gipi: C’è anche adesso, e non si attuerà come non si attuò allora, però c’è tutto un altro odore. Se parli con uno del movimento dei forconi ti dirà che l’Italia sta per esplodere e ci sarà una rivoluzione da un momento all’altro. Solo che non ci sono più i comunisti. Il desiderio di sovvertimento c’è, solo che è di stampo fascista. La sinistra ha perso su ogni fronte possibile e immaginabile, e l’atto rivoluzionario è stato lasciato in mano a movimenti, come il Cinque stelle che, lo ammettano o no, sono di destra. Non è un’aria così diversa: solo è meno sofisticata, non ha rappresentanza intellettuale.
Zerocalcare: La situazione attuale è frutto di quelli che sono stati gli ultimi trent’anni in Italia. Ci sono un sacco di spinte, di rabbie e non c’è un canale verso cui indirizzarle. Dopo tanti anni di populismo, xenofobia e zozzeria varia, non potevamo aspettarci di meglio. La ribellione è sacrosanta. Ma ho visto ragazzini condannati ad anni di galera per un po’ di rabbia espressa male. E allora ti chiedi davvero che cosa fare.