Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 31/01/2014, 31 gennaio 2014
COSSIGHITANO
La richiesta di mettere in stato di accusa Giorgio Napolitano per attentato alla Costituzione avanzata ieri dai 5Stelle, piuttosto ben scritta e tutt’altro che campata in aria, non ha alcuna speranza di essere accolta dal Parlamento per una banalissima questione di numeri. Va dunque presa per quello che è: un serio ed estremo atto politico di contestazione contro il supremo garante del sistema da parte della forza di opposizione anti-sistema. Del resto chi ne contesta l’utilità e financo la legittimità dimentica l’unico precedente: la richiesta di impeachment avanzata contro Francesco Cossiga il 5 dicembre 1991 proprio dal partito di Napolitano: il Pds, che accusava l’allora capo dello Stato di alto tradimento e attentato alla Costituzione (gli unici due reati di cui, in base all’art. 90 della Carta, il presidente è personalmente responsabile nell’esercizio delle sue funzioni). L’atto di accusa, 40 cartelle, era opera di un’équipe coordinata dal vicecapogruppo Luciano Violante. Tra i firmatari, il superstite più illustre oltre a Violante era Ugo Sposetti. Gli altri cinque partiti di sinistra (Rifondazione, Rete, Verdi, Sinistra indipendente e Radicali) si associarono con altrettante denunce, per un totale di 29 fattispecie di reato contestate. Nessuna di esse – secondo i suoi accusatori – configurava di per sé l’alto tradimento né l’attentato alla Costituzione: ma era la “concatenazione logica e temporale” di una serie di atti “volti intenzionalmente a modificare la forma di governo” in senso presidenziale, “estendendo le funzioni e prerogative” ben oltre il dettato costituzionale, a integrare i due delitti. Cossiga avrebbe, nell’ordine: “interferito illegalmente nelle attività del legislativo, dell’esecutivo e del giudiziario” e avviato così “l’esercizio di una propria funzione governante”, “altamente pericolosa perché non sostenuta da alcuna responsabilità politica”; “aperto un circuito incostituzionale tra partiti e presidente” comportandosi da “capo di un partito” e violando l’“inderogabile dovere di imparzialità”, anche con “la strumentalizzazione dei media per conquistarsi una parte dominante nei conflitti da lui stesso aperti”; “usurpato il potere politico che spetta in esclusiva al Parlamento”; “gravemente interferito nell’attività di governo”; “delegittimato magistrati che prendono decisioni a lui sgradite” anche quando “la decisione lo riguarda direttamente”. Infine si sarebbe “fatto portatore di un personale disegno per la soluzione della crisi italiana che prevede lo scavalcamento delle regole fissate dalla Costituzione per modificare la forma di governo e la stessa Costituzione”. Insomma non avrebbe perpetrato “un colpo di Stato nelle forme classiche”, ma una serie di “atti seriamente diretti non a compiere un ‘semplice’ abuso, ma ad alterare illegittimamente i rapporti tra i poteri dello Stato”. Pare il ritratto della presidenza Napolitano. Invece il Pds parlava di Cossiga.
Napolitano, nel ’91 “ministro degli Esteri” del Pds e capo della corrente filocraxiana dei “miglioristi”, concorda sull’analisi della presidenza Cossiga, ma non sullo strumento scelto dai vertici del partito – il segretario Achille Occhetto e il presidente Stefano Rodotà – per sloggiarlo dal Quirinale, perché in Parlamento le opposizioni di sinistra non hanno i numeri per far approvare l’impeachment. Molto meglio – dice – un pressing congiunto dei partiti ostili a Cossiga (tutti, tranne Psi ed Msi) per costringerlo alle dimissioni. Una posizione che gli vale le canzonature del presidente: il quale lo chiama “politico vegetariano”, “né carne né pesce”. Napolitano comunque è uno dei più implacabili censori di Cossiga, cui intima da mesi di smetterla di esternare e picconare e – testuale – di “tornare sul trono” e “rispettare i limiti entro cui la Costituzione colloca il ruolo del presidente della Repubblica”. Il 2 maggio l’Unità intervista il capogruppo Dc al Senato, Nicola Mancino, che spara a zero su Cossiga e sul suo difensore d’ufficio Giuliano Amato.
L’autore dell’intervista è Pasquale Cascella, che non è omonimo del futuro portavoce di Napolitano al Quirinale: è proprio lui. E chi scende in campo, nel 1991, in difesa di Mancino e contro Amato in nome del diritto sacrosanto di attaccare il Colle? Napolitano. “Cossiga – scrive sull’Unità il futuro presidente intoccabile – è purtroppo attivamente coinvolto in una spirale di quotidiane polemiche, difese e attacchi di carattere personale e politico, fino alla sconcertante e francamente inquietante distribuzione di etichette e di voti a giornali. Perché Amato non confuta nel merito le tesi di chiunque tra noi, come sarebbe legittimo, anziché emettere indistinte denunce, riferendosi a una campagna contro il capo dello Stato promossa non si sa bene da chi e per quali calcoli, e di cui sarebbe partecipe il Pds?”. Napolitano si fa beffe di chi vorrebbe tappare la bocca ai contestatori di Cossiga e ricorda che “la libertà di critica discende dal principio della responsabilità politica ‘diffusa’ del presidente”. Anche Scalfari, nel 1991, accusa Cossiga e i suoi supporter di “attentato alla libertà di stampa” per la loro intolleranza alle critiche: poi, come Napolitano, avrà modo di ricredersi vent’anni dopo, attaccando come eversore chiunque oserà criticare Re Giorgio.
Così, quando a dicembre il Pds rompe gli indugi e parte con la richiesta di impeachment, Napolitano – pur preferendo una richiesta corale di dimissioni – attacca: “Non ho dubbi sulla gravità dei comportamenti e interventi come quelli del capo dello Stato”. E nega che i suoi distinguo siano “una dissociazione” dalla linea del Pds. Anzi conferma che “l’esigenza di porre un limite ai comportamenti inammissibili del presidente Cossiga ci ha visti uniti”. Ed esorta “tutte le forze democratiche a giudicare inevitabile che Cossiga tragga le conseguenze della scelta di assumere un ruolo politico incompatibile con la funzione di presidente della Repubblica”. Perciò il Pds dovrà valutare “le molteplici iniziative che possono essere assunte al fine di fermare un processo di allarmante degrado istituzionale”. Nelle settimane seguenti Napolitano continua a denunciare i deragliamenti di Cossiga da quelli che per lui (allora ) sono i binari invalicabili dal capo dello Stato: “Occorre sollevare una questione di incompatibilità fra l’aggressivo ruolo politico di parte assunto dal presidente e la funzione attribuita dalla Costituzione al presidente della Repubblica, tra un esercizio esorbitante dei poteri presidenziali e la permanenza in quella carica...”. “Ciascuno eserciti le sue responsabilità, tuteli le sue prerogative senza lasciarsi intimidire, ponendo concretamente argini su diversi terreni in difesa di essenziali principi ed equilibri costituzionali”. Il 24 gennaio 1992 non esclude neppure più l’arma estrema dell’impeachment contro Cossiga: “Tre sono le vie che possono essere percorse: quella dell’impeachment avanzata dal Pds; quella di sollecitare l’atto delle dimissioni del capo dello Stato; e quella che Cossiga indica anche nella sua recente nota, vale a dire astenersi strettamente da interventi impropri: la situazione di estrema gravità si è ulteriormente deteriorata”, in quanto Cossiga ha continuato “a comportarsi in modo sempre più incompatibile con il ruolo di garanzia che la Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica. Se il capo dello Stato si considera ingiustamente accusato, nessuno gli contesta il diritto di confutare le accuse, nelle sedi e nelle forme più appropriate; ma altra cosa è ingiuriare coloro che hanno preso l’iniziativa della denuncia”.
Il comitato parlamentare se la prende comoda, nell’esame delle sei richieste delle sinistre: 15 mesi di melina. Infatti si pronuncia soltanto l’11 maggio 1993, quando Cossiga non è più presidente da un anno (e Napolitano è presidente della Camera). Ovviamente archiviando la pratica. Cossiga consumerà la vendetta sugli ex-comunisti a freddo, tredici anni dopo, commentando il discorso di insediamento di Napolitano appena eletto al Quirinale. È il 16 maggio 2006. “Se avessi parlato io – dice perfido l’ex Picconatore – di modifiche alla Costituzione, bipolarismo e altre cose di natura squisitamente politica, come ha fatto giustamente Napolitano (poiché, intelligente e sensibile politicamente com’è, ha ben compreso che il fatto che il presidente della Repubblica debba essere super partes è una enorme sciocchezza), i membri dei gruppi parlamentari del Pci, lui e Augusto Barbera esclusi, avrebbero raccolto le firme per sollevare l’impeachment nei miei confronti, come avevano già fatto per aver io detto molto di meno”. E non ha ancora visto di che cosa sarà capace Napolitano nei quasi otto anni di presidenza, e di ripresidenza.