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 2014  gennaio 31 Venerdì calendario

TROPPA CONFUSIONE SUL «CASO MARÒ» È IL MOMENTO DELLA STRATEGIA UNITARIA


Non saranno le frasi roboanti e la corsa al gesto anti-indiano a indirizzare verso una soluzione positiva la vicenda dei due marò italiani trattenuti in India. L’iperattivismo casuale e fuori da una strategia di una parte del mondo politico italiano rischia anzi di creare problemi. Una gara a chi la spara più grossa — tanto costa poco — non ha alcun effetto a New Delhi. Ma a Roma innesca una catena di toni sempre più alti e una rincorsa a esprimere contenuti sempre più estremi (e vuoti). Il rischio è che, per non sembrare deboli, si facciano errori gravi. Nella capitale indiana queste sono ore importanti, la Corte Suprema terrà un’udienza il 3 febbraio e da notizie di stampa locali il governo starebbe prendendo iniziative per arrivare finalmente a formulare i capi d’imputazione contro Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. La posizione da tenere in questi momenti non può essere ondivaga.
Invece si ondeggia. Ieri — stando alle agenzie di stampa — il ministro della Difesa Mario Mauro ha, nel corso di un incontro a Foggia, stigmatizzato il rinvio di un’udienza che riguardava i due fucilieri da parte di un tribunale indiano. Si trattava però, come ha chiarito il commissario governativo sul caso marò, Staffan de Mistura, di un rinvio «voluto dall’Italia». Mauro ha poi precisato, ma l’infortunio segnala che la pressione politica per mostrarsi inflessibili e determinati con l’India può generare confusione.
Anche una dichiarazione, tre giorni fa, del ministro degli Esteri Emma Bonino è sembrata più provocata dal dibattito politico interno che dalla scelta politica di usare toni duri con New Delhi. Parlare, come ha fatto, di «inaffidabilità del regime indiano» sul caso dei due fucilieri di Marina significa che il capo della diplomazia italiana ha deciso di alzare i toni e colpire l’India nell’orgoglio. Un salto di qualità, però, non seguito da altri passi e che — risulta al Corriere — nel governo indiano è stato registrato con una certa irritazione. Niente di grave: la diplomazia è anche scontro e toni duri. L’importante è che ciò che si fa e si dice sia finalizzato a una strategia. La stessa visita della delegazione di parlamentari a New Delhi, invece, è sembrata più indirizzata all’Italia che all’India, dove pochi l’hanno notata: organizzata sotto la spinta dell’indignazione e della corsa in avanti voluta dal Movimento 5 Stelle, non fondata su una linea unica di parlamento ed esecutivo.
Negli ultimi tempi, il governo ha finalmente posto in essere una strategia chiara, in grado di avere successo. L’ambasciatore in India Daniele Mancini e i legali di Girone e Latorre hanno chiesto alla Corte Suprema di premere affinché si arrivi alla formulazione dei capi d’imputazione. Non per il gusto di farlo. Per costringere la parte indiana a scoprire le carte: o si decide di andare a un processo secondo il codice penale — non regolato da una legge antiterrorismo e quindi senza pericolo di pena capitale — oppure l’Italia può avere una serie di argomentazioni forti per ricorrere alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja e chiedere di giudicare il caso in un tribunale internazionale. Questa strategia ha la possibilità di portare risultati. Anche per questo l’Italia ha presentato alla Corte Suprema una petizione breve: per non dare alla parte indiana motivi di ulteriore rinvio o argomentazioni per sostenere che sono le mosse di Roma a provocare i tempi lunghi.
È su questa strategia che ci deve essere l’unità nazionale: le polemiche e le commissioni d’inchiesta vengono dopo. Quello che c’è da fare sul piano giudiziario è dunque aspettare fino al 3 febbraio, quando la Corte Suprema dirà la sua. A quel punto, il team dei legali e il «gruppo marò» costituito dal governo decideranno cosa fare. In questo momento, per tre giorni, occorre attendere che l’azione intrapresa dia risultati. Ieri, a New Delhi, un quotidiano ha scritto che il governo indiano si starebbe orientando a chiedere al ministero degli Interni di non utilizzare contro i marò la legge antiterrorismo e antipirateria Sua Act. Segno che la strategia italiana ha messo in moto una reazione. Azioni scomposte potrebbero farla deragliare.
Altra cosa è l’iniziativa diplomatica internazionale che il governo, il ministro Bonino e il presidente del Consiglio Letta hanno portato avanti in questi giorni. Ieri, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha detto di essere preoccupato della situazione e di avere avviato iniziative sulla vicenda: «Se questa situazione non sarà gestita in modo adeguato potrebbe avere conseguenze nei rapporti tra la Ue e i partner indiani», ha sostenuto. Anche sul piano diplomatico, non è lo sventolio delle bandiere e lo sfoggio velleitario dei muscoli a portarci alleati. Meglio muoversi sul piano del diritto, quando lo si ha dalla propria parte.