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 2014  gennaio 31 Venerdì calendario

RIPRESA SENZA OCCUPAZIONEì UN REBUS NON SOLO ITALIANO


L’INCHIESTA
ROMA Fidiamoci: la ripresa (o ripresina) economica, nel 2014, ci sarà. L’ottimismo della volontà varia di qualche decimale a secondo delle fonti, dall’Ocse al Fondo monetario, dalla Banca d’Italia al governo Letta, dai palazzi dell’eurocrazia di Bruxelles a quelli del potere sovrano americano e cinese ma in ogni caso tutti, istituti di ricerca compresi, convergono sull’idea che il peggio della Grande Crisi è ormai alle nostre spalle. Ma il vero punto di incertezza, la vera incognita di questa benedetta ripresa economica, ruota attorno a una domanda: sarà accompagnata anche da un rilancio dell’occupazione? O rischia di essere, come dicono gli anglosassoni, jobless, senza cioè effetti virtuosi sul lavoro, e quindi sulla vita reale degli uomini, delle donne, delle famiglie e in definitiva dei Paesi?
Per rispondere a un interrogativo-chiave di questa stagione, possiamo partire da un caso molto concreto e attuale, e cioè la rivoluzione in atto nell’industria automobilistica, Fiat compresa, da sempre presidio di lavoro su larga scala. Barack Obama ha salvato un intero settore industriale, scommettendo con coraggio e con enormi iniezioni di fondi pubblici, anche perché l’industria dell’auto resta fondamentale per l’occupazione Usa.
MIRACOLO A DETROIT
Negli Stati Uniti si parla da tempo di un «miracolo Detroit», ma anche in Italia la scommessa della Fiat provoca speranze oltre al bagno di sangue in termini di posti e di fabbriche a rischio. Naturalmente, purché funzioni la riconversione, dei prodotti da lanciare sul mercato e dei lavoratori da tenere stretti per il loro valore. A Grugliasco, per esempio, la Fiat ha acquistato e ristrutturato la ex-Bertone, una fabbrica fallita con 900 operai in cassa integrazione, e a fine 2013 grazie alle Maserati prodotte in quell’officina piemontese e vendute in America e in Cina al ritmo di 140 al giorno, tutti i dipendenti sono stati riassorbiti e a loro si sono aggiunti altri 1.100 operai provenienti in gran parte dallo stabilimento di Mirafiori in declino.
Anche la siderurgia, come l’auto, è al centro di un pesante ridimensionamento in tutta Europa (specie in Italia con la drammatica situazione di Taranto), dove la produzione di acciaio è crollata del 20 per cento dal 2007. Per non parlare dell’industria della raffinazione, dove sempre nei paesi dell’Unione sono a rischio 600mila posti di lavoro, Italia compresa.
RITORNO ALLA FABBRICA
Eppure, nel pieno della bufera della Grande Crisi, si è finalmente capito che il mondo del capitalismo occidentale non può vivere solo di finanza (sregolata e spesso predona), ma ha bisogno proprio di fabbriche, di manifattura, di produzioni nelle quali l’Italia è spesso all’avanguardia. E queste fabbriche, con prodotti che sfidano i mercati di tutto il mondo, significano posti di lavoro, e nuovi lavori.
Il direttore generale di Assolombarda, Michele Verna, ha appena fornito uno spaccato molto significativo sul cambiamento del mercato del lavoro e sulle opportunità che si stanno aprendo sul versante manifatturiero. La metà delle richieste di assunzioni delle imprese lombarde, tra i mesi di luglio e di dicembre del 2013, si sono concentrate su due tipologie di lavoratori: gli operai specializzati e gli addetti al commercio. Figure professionali che servono, e spesso mancano, anche nel Lazio, in Campania, in Emilia. In tutta Italia.
NUOVE FILIERE
Un altro filone molto promettente, in termini di occupazione e di nuovi lavori, è quello dell’intera filiera della green economy. Forse esagera il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, quando parla della possibilità di 3,7 milioni di nuovi green jobs che si possono creare in Italia, sommandoli ai 3 milioni già attivi. Certamente però il futuro, e la possibilità di non restare inghiottiti da una ripresa economica senza effetti sull’occupazione, passa anche per questo nuovo universo di opportunità. Ci sono già in Italia 328mila aziende, per esempio, che richiedono personale collegato all’efficienza energetica: spesso hanno bisogno di queste figure per ridurre i costi stratosferici dell’energia in fabbrica e per modernizzare impianti e rifornimenti.
Anche l’edilizia, piombata in una crisi occupazionale molto pesante parallela al crollo del mercato, può avere una scossa positiva dagli interventi a tappeto per migliorare l’efficienza energetica del patrimonio edilizio privato e pubblico. Al momento sono già ricercatissime sul mercato tutte le figure professionali, dall’operaio specializzato all’energy manager (il professionista in grado di programmare la gestione dell’energia), con i requisiti giusti per lavorare in questo settore. E, sempre restando alle potenzialità della green economy, c’è da segnalare che dopo il rischio bolla del fotovoltaico e dell’eolico, questi settori hanno ripreso a offrire posti di lavoro.
INCENTIVI A PIOGGIA
Con una differenza, però, rispetto alla stagione degli incentivi a pioggia per fare impianti fotovoltaici con pannelli fabbricati in Germania (a prezzi molto alti) e in Cina (a prezzi stracciati): si è capito che le energie alternative, e quindi anche il fotovoltaico e l’eolico, non daranno molto all’Italia in termini di occupazione e di nuovo lavoro, se non si riuscirà a realizzare l’intera filiera.
E quindi ancora fabbriche, piccole e medie, anche e innanzitutto al Sud della disoccupazione cronica e spaventosa, che si stanno moltiplicando, con relativi richieste di manodopera, per sviluppare il made in Italy dei pannelli e delle pale eoliche. L’industria della green economy, con i potenziali milioni di posti di lavoro all’orizzonte, impatta poi in modo diretto con la politica industriale del Paese e con la necessità di modernizzare il sistema Italia, al centro e in periferia. Ci sarebbe lavoro, e tanto, se riuscissimo a fare il ciclo virtuoso della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, perché in tutto il mondo occidentale (e non solo) questo settore crea posti per i lavoratori e benessere per le comunità dei cittadini. Ci sarà lavoro, e tanto, quando ci decideremo a mettere in sicurezza le 24mila scuole a rischio sismico che fotografano un Paese fermo, troppo fermo, da anni, sul piano della prevenzione e della cura del territorio. E quando si è così bloccati non solo aumentano i rischi per la sicurezza, ma si sprecano le opportunità per creare posti di lavoro sani, a differenza delle finte guardie forestali, retribuiti dignitosamente, e non con le mance ai professionisti del sussidio pagate dai contribuenti onesti, e utili per tutti gli italiani.