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 2014  gennaio 31 Venerdì calendario

QUANDO LO SPORT È UN VELENO DELL’ANIMA

Lo chiamano «il male oscuro», perché è talmente nascosto e subdolo che neppure la vittima lo riconosce. Il fatto di capire che si è depressi è già il primo importante passo verso la soluzione del problema. La casistica dei casi nello sport è vasta. E sembra una contraddizione si pensa che proprio lo sport è unanimemente considerato un’utile terapia. Non al massimo livello però. Ed è difficile capire tante volte da fuori. Perché un atleta ricco, osannato, amato dall’altro sesso deve deprimersi? E’ di due anni fa uno studio della New York University che spiega come gli atleti alto livello, rispetto alle persone normali, abbiano il venti per cento in più di probabilità di manifestare questa patologia. E alcune discipline sembrano più esposte, Football da loro, calcio e ciclismo in Europa.

Ma cosa è la depressione? Secondo la prassi comune è una serie di sensazioni negative, la tristezza, il rallentamento mentale, la mancanza di concentrazione, la perdita di interesse per le attività abituali, il progressivo isolamento, la incapacità di pensare ad un futuro positivo. «Nello sportivo possono esserci diverse cause – spiega la dottoressa Marisa Muzio – perché la strada del successo è costellata di sollecitazione molto forti, fisiche e mentali, e le cause della depressione molte volte vanno cercate nella storia stessa dell’atleta visto che possono avere radici lontane. L’allontanamento precoce dalla famiglia, l’abbandono scolastico, l’ansia da prestazione. E ci sono passaggi fisiologici che non sempre l’atleta è in condizione da solo di superare, come il calo della motivazione intrinseca una volta raggiunto l’obiettivo. E poi il successo comporta un cambiamento di status che non sempre è assorbito. Questo durante, ma è difficile anche il dopo carriera».

La casistica è ricca. Campioni che si sono buttati nell’alcol come Thorpe, Borg, Gascoigne e Carlisle, e chi ha deciso di farla finita come Agostino Di Bartolomei o l’ex c.t. della nazionale gallese di calcio Gary Speed o il portiere tedesco Robert Enke, che nel 2009 si lanciò sotto un treno. E come dimenticare il nostro Marco Pantani che affogò nella cocaina? Calcio e ciclismo soprattutto, ma il problema riguarda tutte le discipline, soprattutto a fine carriera, quando un atleta deve cominciare a vivere una vita normale che, dopo tanti privilegi, non tutti sono in grado di accettare.

Chi ha dimenticato il volo dalla sede della Juventus di Gianluca Pessotto nel 2006? Un atleta modello, un uomo equilibrato, eppure... Molte volte sono stati gli atleti a rivelare i loro stati depressivi. Lo ha fatto Andre Agassi nel suo libro, come lui il portiere azzurro Gigi Buffon, che nel 2004 dovette chiedere l’aiuto di una psicoterapeuta. Ma pure insospettabili, come i duri e puri del rugby. Jonny Wilkinson, apertura dell’Inghilterra, un uomo tutto d’un pezzo, con una solidità mentale in campo che contagiava anche i compagni. Eppure pure lui, corroso dall’ansia di migliorare sempre di diventare perfetto. Pure lui lo ha rivelato nella sua biografia. Cosa fare? Molto. Perché sappiamo tutto dei muscoli e poco della mente e dell’anima, ma quella è il motore fondamentale. La famiglia è importante, ma ci devono pensare pure le federazioni. In fondo un atleta non è un uomo usa e getta.