Nino Sunseri, Libero 31/01/2014, 31 gennaio 2014
FIAT A LONDRA PER NON PAGARE L’IRAP
Fiat si è immediatamente ripresa in Borsa guadagnando il 2,4% a 7,4 euro. La delusione della vigilia sembra essere superata. La scomparsa del dividendo e conti meno brillanti delle attese (soprattutto per quanto riguarda le previsioni 2014) avevano addensato le vendite. Ieri, invece hanno prevalso altre considerazioni. La principale riguarda le prospettive che vengono aperte dalla fusione con Chrysler.
Al centro dell’attenzione la notizia della nuova sede legale (in Olanda) e della residenza fiscale (nel Regno Unito) e della quotazione del titolo a New York. La domanda sul mercato è ricorrente: in termini pratici in che cosa si traduce la decisione del Lingotto ha deciso di cambiare la cittadinanza delle proprie tasse? Quali sono i tanti vantaggi di cui tanto si parla? Per capirlo bisogna approfondire la riforma della corporate tax (la tassa sulle società), avviata da Londra quasi quattro anni fa per attirare sempre più investimenti dall’estero.
Il guadagno della nuova holding è presto detto. La sede fiscale in territorio britannico consente di pagare una corporate income tax con una aliquota pari al 21%: il vantaggio è innegabile, visto che la media dei paesi che fanno parte del cosiddetto G20 non è inferiore ai trenta punti percentuali. Inoltre, questo stesso tributo calerà ulteriormente nel corso del 2015 e arriverà fino al 20%. Ma non si tratta solamente di differenze di numeri.
In effetti, il Fisco di Sua Maestà non prevede nessun tipo di tassazione locale per quel che riguarda le aziende: sappiamo che in Italia, al contrario, esiste l’Irap, (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) un balzello che fa disperare e non poco le imprese e che rende la tassazione italiana ancora più pesante (oltre il 30% per la precisione).
Le agevolazioni non sono finite. Non vanno dimenticati neanche gli sgravi fiscali: l’investimento in Gran Bretagna permette di alleggerire l’imposizione sui redditi societari, di beneficiare di esenzioni sui dividendi e sui capital gain (la differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto di uno strumento finanziario), oltre alle convenzioni internazionali di maggior favore. Infine, le ritenute sui dividendi verso gli investitori sono molto più convenienti (il 20% per chi non è residente). Una ventaglio di opportunità che spostano il livello della competizione. Ormai la concorrenza non è più fra singole aziende ma direttamente tra sistemi nazionali. In questa gara l’Italia appare in fondo alla classifica. Né vale la minaccia di Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle Entrate che si è riservato di controllare i documenti. Vuole essere sicuro che dietro questo spostamento non si sia una lesione delle leggi fiscali italiane.
Ipotesi possibile ma non probabile. Soprattutto considerando che la medesima operazione era già stata fatta da Marchionne al momento di unire Fiat Industrial con l’americana Cnh. Dalle Finanze non erano arrivate contestazioni. Ieri il gruppo che produce camion, trattori e scavatrici ha presentato i conti. Non brillantissimi. L’utile netto è salito del 2% a 917 milioni pari a 0,63 euro per azione (0,65 euro nel 2012). Stabili i ricavi a 25,7 miliardi (+4,3% a cambi costanti) mentre il risultato della gestione ordinaria è sceso leggermente da 2,063 miliardi a 1,985 miliardi. Invariato anche l’utile operativo 2013 a 1,8 miliardi.