Franco Bechis, Libero 31/01/2014, 31 gennaio 2014
SPESE FOLLI PER LE INTERCETTAZIONI E IL MINISTERO NON PAGA IL CONTO
Come tutti gli altri ministeri, anche quello della Giustizia ha dovuto fare i conti con le ristrettezze di bilancio e le necessità di tagliare un po’ di spesa pubblica. Sulla carta l’ha fatto. Così nel 2013 gli stanziamenti per le spese di giustizia sono scesi a 450 milioni di euro. Due presidenti del Consiglio, prima Mario Monti e poi Enrico Letta, e due ministri della Giustizia (Paola Severino e Annamaria Cancellieri) hanno gridato a pieni polmoni la parolina magica: «spending review». Il fatto è che i magistrati che hanno in mano quasi tutti i cordoni della spesa non devono essere bravissimi in inglese. Hanno sentito «spending review», e devono avere tradotto «spendi di più». Così è andato gambe all’aria il piano risparmi previsto. Con un risultato finale che è invece dipeso in gran parte da chi guida il ministero: sono state allargate le maglie dei capitoli di bilancio sfondati dai magistrati, e a rimetterci sono i cittadini comuni, che semplicemente non vengono pagati.
Caso illuminante quello della spesa per intercettazioni, una delle passioni smodate degli inquirenti. Erano stati stanziati 200 milioni di euro. Ma non sono bastati: le procure nel 2013 ne hanno spesi 240 milioni. Addio spending review, perché il taglio complessivo al bilancio generale era stato di 50 milioni di euro in tutto, e i 4/5 sono stati assorbiti dalla eccessiva ingordigia nelle intercettazioni. Per altro avendo sfondato ogni anno i limiti di spesa, i vari uffici giudiziari portano sulle spalle un contenzioso con le imprese chiamate a fare intercettazioni che non finisce mai. Lo rivela l’ultima relazione sull’amministrazione della giustizia relativa all’anno 2013 appena depositata dalla Cancellieri alla Camera dei deputati. «Sono pervenuti 89 nuovi ricorsi», si spiega, «per decreti ingiuntivi, la maggior parte causati dal mancato pagamento delle spese connesse all’attività di noleggio di apparecchiature per intercettazioni telefoniche». La relazione sulla Giustizia cita però solo i dati delle intercettazioni avvenute nel 2012: 124.713 quelle telefoniche (erano 121.072 l’anno prima), 13.603 quelle ambientali (erano 11.888 nel 2011) e 2.261 quelle telematiche (erano 2.573 l’anno prima). Complessivamente 140.577 intercettazioni contro le 135.533 del 2011.
Di contenziosi è pieno il ministero, ma quando si tratta di cittadini o imprese, possono attaccarsi al tram anche di fronte a diritti riconosciuti in ogni grado della giustizia amministrativa. Loro hanno sempre torto anche quando hanno ragione da vendere. Al contrario dei magistrati che si danno sempre ragione anche quando hanno torto marcio. Allarga le braccia sul punto lo stesso ministro, che in un passaggio della sua relazione ricorda come sulla carta esista grazie al celebre referendum la possibilità di fare scattare la responsabilità civile dei magistrati. I cittadini ci credono poco, e le azioni di responsabilità civile scemano di anno in anno: sono state 49 nel 2012 e 45 nel 2013. Osserva sconsolato il ministro: «Premesso che il ricorso per la responsabilità civile dei magistrati è proposto contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e questo Dicastero è competente solo per la fase istruttoria, non si può che osservare che la percentuale delle condanne è pari allo 0,01%». Viene condannato un solo magistrato ogni diecimila azioni di responsabilità civile, e visto che queste sono diventate meno di 50 all’anno, è evidente che l’istituto non serve a un fico secco.
Quando invece si tratta della pelle dei cittadini, cambia la musica. Basti vedere il celebre capitolo sulla legge Pinto, che obbliga lo Stato a risarcire chiha subìto processi eccessivamente lunghi o ingiusta detenzione. È una delle leggi meno rispettate dallo Stato, che pretende sempre dagli italiani, ma quando è il suo turno è il primo evasore d’Italia. Per questo fioccano ogni anno condanne durissime da parte della corte di Giustizia della Ue, e aumenta il debito del ministero della Giustizia. Ma non cambia la musica: lo Stato non paga. Spiega il ministro: «Il mancato ricorso allo speciale ordine di pagamento in conto sospeso, l’alto numero di condanne ed i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio hanno comportato un forte accumulo di arretrato del debito Pinto ancora da pagare che ad ottobre 2013 ammontava ad oltre 387 milioni di euro». E anche Letta non ha fatto granché per risolvere: «Gli stanziamenti da ultimo stabiliti, anche se più alti dei precedenti anni (nel 2013 50 milioni di euro), restano ben lontani dal soddisfare il debito assunto nel corso dell’anno e il debito pregresso».