Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Gli analisti sono occupati a decifrare il futuro dei rapporti Usa-Cina. Gli americani hanno appena finito la loro gara per la Casa Bianca che a Pechino s’è aperto il 18° congresso del partito comunista, 2.268 delegati riuniti nella Grande Sala del Popolo in piazza Tienanmen chiamati a eleggere il Comitato centrale del partito (370 membri) che a sua volta eleggerà il Politburo (20 membri) che a sua volta eleggerà il Comitato permanente, vera sede del potere cinese, composto finora da nove membri che probabilmente stavolta diventeranno sette. Questa farraginosa procedura, decisa tra l’altro in anticipo proprio all’interno del Comitato permanente, intanto dichiara la differenza col sistema americano, colorato chiassoso e commovente. E poi dice che il lungo discorso contro la corruzione pronunciato ieri in apertura dal presidente uscente Hu Jintao ha poco fondamento. L’ambiente che rende possibile la corruzione è fatto, ovunque, di apparati chiusi e opachi, di procedure bizantine, di burocrazie potenti e di denaro pubblico abbondante. Proprio il ritratto della Cina di oggi (e non solo della Cina, purtroppo).
• Come gli è saltato in mente di fare un discorso sulla corruzione?
Non solo il problema esiste a tutti i livelli da sempre, ma a giugno il New York Times ha dimostrato che Xi Jiping, prossimo presidente della Repubblica, ha accumulato un patrimonio milionario e a ottobre il New York Times ha rivelato che anche Wen Jiabao, l’attuale premier, è diventato ricco sfondato. Internet ha fatto il resto, nonostante le censure i cinesi lo sanno e gli insulti alla nomenklatura si sprecano. Pensi che tra le misure di sicurezza stabilite in occasione del congresso, c’è stato anche l’ordine diramato a tutti i conducenti di taxi di strappare la maniglia del vetro nel dietro delle macchine, in modo da impedire a un eventuale passeggero contestatore di lanciare volantini sovversivi in strada.
• Potrebbe la Cina, in un futuro magari non prossimo, diventare un paese all’occidentale, con il parlamento, le elezioni eccetera?
Hu ha auspicato la «riforma della struttura politica», ma «non copieremo mai i sistemi politici occidentali». Più tardi il portavoce del Partito comunista cinese ha ribadito: il partito unico non si tocca. Hu ha aggiunto: «La corruzione può provocare l’affondamento del Partito e dello Stato». Il punto più preoccupante è quello relativo all’intenzione di potenziare la marina: «Dobbiamo fare della Cina una potenza marittima per difendere con risolutezza i suoi diritti e i suoi interessi marittimi». È facile vedere in questo passaggio l’intenzione di non mollare nel contenzioso col Giappone per le isole Senkaku, disabitate ma i cui fondali sono pieni di metano. C’è un che di minaccioso anche nella mano tesa a Taiwan: «la riunificazione pacifica tra i due paesi è nel mutuo interesse di Cina e Taiwan».
• Pechino tifava per Obama o per Romney?
Tifava per Romney. Obama, per i cinesi, s’è fatto troppo amico dei paesi che li circondano: Australia, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, India. Come mai il presidente degli Stati Uniti ha attaccato così di frequente la politica ambientale cinese? Come si può credere alle sue profferte di dialogo se nello stesso tempo rifornisce di armi Taiwan? Pechino non dava troppa importanza alle intemerate di Romney. Con un diverso presidente si sarebbero forse potute gettare le basi di un qualche accordo del Pacifico. Capiremo di più su questo capitolo delicatissimo dopo l’incontro tra Xi Jinping e Obama, in programma nei prossimi mesi.
• Xi Jinping è destinato a diventare il nuovo uomo forte di Pechino, no?
Xi Jinping e Le Keqiang prenderanno in mano i vertici del partito (il congresso si chiude giovedì prossimo), e a marzo diventeranno presidente della Repubblica e primo ministro. Come abbiamo già detto qualche giorno fa, i due sono il prodotto di una formidabile lotta interna. Garantiscono di sicuro, per il momento, il mantenimento di un equilibrio tra i vari poteri cinesi.
• La questione dei rapporti con gli Stati Uniti è soprattutto economica.
La Cina, che detiene 1350 miliardi di dollari di titoli americani, è la seconda economia del mondo, ma il suo tasso di crescita, da quando è cominciata la crisi, non è mai stato così basso. Wang Yang, governatore del Guangdong, ha detto: «Mantenere i successi raggiunti è più difficile che vincere». Il rapporto China 2030, compilato dalla Banca Mondiale e dal Centro ricerche e sviluppo, e presentato a Pechino lo scorso febbraio, mette sotto accusa le gigantesche imprese di Stato, padrone degli appalti pubblici e nemiche della concorrenza e dei privati, a cui rendono quasi impossibile il credito. Le amministrazioni locali hanno debiti per 1,28 miliardi di euro, quasi sempre inesigibili. Il credito è in mano a quattro grandi banche pubbliche, che fanno il bello e il cattivo tempo. Intanto cresce la classe media, che entro il 2020 sarà passata da 109 a 202 milioni di famiglie. La classe media, conquistato il benessere, vuole storicamente libertà di movimento, emozioni, potere. Il 18° congresso pretende invece di fissare le linee guida del Paese per i prossimi dieci anni. Chissà.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 9 novembre 2012]
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