Francesco Bonami, La Stampa 9/11/2012, 9 novembre 2012
HIRST: L’ARTE? UNA QUESTIONE DI LIBERTÀ, NON DI GENIO
Abbiamo incontrato Damien Hirst in un albergo di Doha dove nell’autunno del 2013 porterà riveduta, corretta e ingrandita la sua recente retrospettiva da poco conclusa alla Tate Modern di Londra. Si parla sempre di arte, ma non della sua arte. Bensì di quella che fin dagli esordi alla metà degli Anni 80 Hirst ha collezionato costruendo una raccolta di oltre duemila pezzi. Un piccolo ma intenso gruppo dei quali viene presentata alla Pinacoteca Agnelli nella mostra «Freedom not genius» (da domani al 10 marzo) curata da Elena Geuna.
Hirst, ha iniziato a collezionare perché se lo poteva permettere o perché è sempre stata una sua fissazione?
«Quando ero piccolo collezionavo francobolli, poi minerali e scarafaggi [ beetles ], perché mi piacevano i Beatles anche se non erano così di moda, ma io ero troppo giovane per essere un punk».
Ma quale è stato lo stimolo che l’ha spinta a iniziare una collezione?
«Volevo entrare nella testa di chi collezionava il mio lavoro. Capire cosa li spingeva a comprare una mia opera d’arte. Poi però mi sono appassionato ed è diventata una malattia».
La prima opera che ha acquistato?
«Sono stato molto fiero quando mi sono potuto permettere di comprare la prima opera di Jeff Koons , un single hoover [un aspirapolvere], da Larry [Gagosian].
Cosa le dà soddisfazione nel collezionare?
«L’idea di tenere le cose in movimento. Io faccio arte e con l’arte faccio i soldi e con i soldi compro arte. È una specie di alchimia. L’arte si trasforma in denaro e poi in arte di nuovo».
Vende quello che compra?
«Molto poco. Qualche volta però sì. È anche questo un processo normale».
Sta costruendo un grande spazio a Newport street, a Londra, disegnato dallo studio Saint John and Caruso. Come funzionera?
«Mostrerò principalmente l’arte contemporanea della mia collezione; il resto, le curiosità, finirà in mostra nel castello che sto restaurando».
Pensa che sia importante condividere la sua collezione con il pubblico?
«Mi piace l’idea che l’arte non sia nascosta in un magazzino o in delle casse. La National Gallery di Londra ha questa
politica: tutte le opere che possiede sono o in mostra o in prestito in giro per il mondo. Nessuna può stare in magazzino. È una regola molto bella. Per un collezionista l’idea di possedere un’opera è importante, ma la cosa più bella e importante del mondo è poter guardare l’arte».
Lei ha spesso fatto scambi con i suoi amici artisti.
«Sì, è un processo molto semplice, arte per arte».
Ma sostiene molto i suoi amici comprando le loro opere…
«Sì, mi piace e poi è meglio che prestare semplicemente denaro che poi magari non ti viene reso. Quando compri un’opera la cosa finisce lì, paghi e non se ne parla più. oltre al fatto che poi ti ritrovi un pezzo d’arte che puoi sempre goderti».
«Ci sono molti Koons nella sua collezione.
«Sì, il suo lavoro mi è sempre piaciuto, fin da quando ero studente alla metà degli Anni 80».
Quale è lo scambio di cui è più soddisfatto?
«Sicuramente quello con un lavoro del mio amico Angus Fairhurst. Ora che è morto, il suo lavoro è ancora più’ forte e per me ha ancora più importanza».
Altri lavori nella collezione che di cui è particolarmente fiero?
«C’è questo teschio blu di Steven Gregory che mi piace molto o una crocifissione di Francis Bacon. È incredibile! Quando ero giovane non avrei mai immaginato di poter avere un’opera di Bacon».
Quali opere sogna di poter avere?
« Saturno che divora i suoi figli di Goya».
Ma è al Prado, non si può comperare.
«Stavamo parlando di sogni».
Un’opera che invece si può comprare, ma non se la può permettere?
«Un trittico di Bacon oppure il coniglio di Koons».
Un acquisto recente?
«Una scultura di Sarah Lucas».
Un’opera che si pente di avere in collezione?
«Tutte quelle che ho acquistato senza convinzione o quando ero ubriaco, solo per fare un favore».
A Torino, è la seconda volta che mostra la sua collezione. La prima fu a Londra, alla Serpentine. Sarà una specie di gabinetto delle meraviglie.
«Sì, è stata l’idea di Elena Geuna che mi è piaciuta molto».
Mi spiega il titolo della collezione, «Murderme»?
«C’è poco da spiegare, mi piaceva il suono… sembra una parola francese».
E il titolo della mostra, «Freedom not genius»?
«È perché a me piace la libertà, non l’idea di genio. La libertà è qualcosa che ti conquisti, il genio qualcosa con cui nasci. L’arte è una questione di libertà, non di genialità».