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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

CONCORDIA L’IMPATTO SUI FONDALI DEL NAUFRAGIO (E DEL RECUPERO)


Il relitto della Costa Concordia è una titanica, mostruosa creatura che dal 13 gennaio, data del naufragio, incombe sul panorama dell’isola del Giglio. Ma cosa accade sottacqua, dove il colosso, un gigante di 114 mila tonnellate, lungo 290 metri, largo 35, alto 52 metri, è appoggiato su due lingue di roccia e, dalla notte della tragedia costata la vita a trenta persone (più due dispersi), getta intorno a sé un’ombra di notte perpetua? «Quello che colpisce di più scendendo sott’acqua è proprio il buio» dice Giandomenico Ardizzone, docente di Ecologia marina alla Sapienza e responsabile degli aspetti ambientali nelle operazioni di recupero della Concordia. «Poi, avvicinandosi al relitto, a poco a poco il timore svanisce: date le dimensioni spropositate, paradossalmente, l’idea che quella "cosa" enorme possa muoversi o creare pericolo appare remota, come il fatto che una montagna possa cadere». Nei prossimi mesi questa montagna sarà raddrizzata e trascinata via, quindi portata in un cantiere per lo smantellamento, con la più grande operazione di recupero navale di sempre (costo stimato oltre 230 milioni di euro). Smontarla sul posto, spiega Ardizzone, sarebbe stato un rischio ambientale troppo alto.
Ora, dopo due mesi di studio – in un report appena consegnato all’Osservatorio composto dai ministeri dell’Ambiente e della Salute, da Regione, Provincia, Arpat e Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – Ardizzone e il biologo ambientale Andrea Belluscio, anche lui della Sapienza, hanno descritto le condizioni attuali dei fondali e i lavori da fare per metterli in sicurezza. Ardizzone partecipa anche, come garante per la sicurezza ambientale, alle operazioni di recupero che sono partite quest’estate e termineranno nella primavera-estate del 2013: la gara d’appalto è stata vinta dal consorzio Titan Salvage (multinazionale) e Micoperi (italiana). «A fine giugno, quando abbiamo iniziato le immersioni non avevamo idea di cosa avremmo trovato, e tantomeno quindi dell’impatto che i lavori per la rimozione della nave avrebbero potuto avere sull’ambiente» racconta Ardizzone. «Siamo in un’area protetta, con fondali rocciosi ricchi di biodiversità e preziosi per il turismo subacqueo. Quindi è chiaro che sarà necessario qualche danno per portare via la nave, ma lavoriamo per ridurli al minimo».
Per prima cosa quindi è stato mappato il fondale con onde sonore che, rimbalzando sul fondo, hanno disegnato tutti i rilievi. «La nave appoggia su due lingue di roccia, che, pianeggianti nel punto di contatto, scendono rapidamente fino a 80 metri di profondità» spiega Ardizzone. «Il rischio iniziale era proprio che la nave potesse spostarsi da questa specie di cavalletto, e inabissarsi del tutto. Così la si è stabilizzata con cavi d’acciaio fissati su pali piantati sul fondale dalla parte verso terra». Sul lato mare si fisseranno invece 26 grandi pali di due metri di diametro per sorreggere le grandi piattaforme che serviranno a raddrizzare la nave.
«Dopo aver realizzato la mappa, abbiamo "censito" animali e vegetali del fondale prelevando campioni, e abbiamo effettuato riprese video con piccoli robot subacquei». Gli habitat prevalenti nell’area sono le praterie di posidonia, che si trova dai due fino ai trenta metri di profondità, e il coralligeno, ambiente molto bello e vario, formato da comunità di organismi come coralli, spugne, gorgonie, margherite di mare, tra i trenta e gli ottanta metri di profondità.
Il fondale su cui poggia la nave si trova a circa trenta metri di profondità, in mezzo a questi habitat. Che hanno già subito pesanti danni: «Sotto la parte centrale della nave una grande prateria di posidonia è morta in pochi mesi a causa dell’enorme ombra proiettata dalla Concordia». In quel punto c’erano anche grandi molluschi bivalvi (arrivano a un metro di lunghezza) di una specie protetta, la Pinna nobilis. «E sarebbero morti anch’essi, perché in quell’area migliaia di tonnellate di sacchi di cemento andranno a riempire lo spazio vuoto sotto la nave per evitare che, durante la rotazione che subirà nel raddrizzamento, si spezzi nella parte centrale. Poi i sacchi verranno tolti, ma in quel punto serviranno anni prima che l’acqua e l’ossigeno riescano a riconquistare gli strati compressi da migliaia di tonnellate di peso. Perciò, nell’agosto scorso, i molluschi sono stati prelevati e spostati su un fondale simile ma lontano».
In agosto è iniziato anche il monitoraggio ambientale: «I lavori per posizionare i pali vengono fatti da scavatrici ed enormi martelli pneumatici, in grado di perforare il granito del fondale roccioso» spiega Ardizzone. «Il rumore è però dannoso per delfini e balene, che hanno apparati acustici molto sensibili. E ricordiamo che la zona del Giglio rientra all’interno del santuario Pelagos, di tutela dei mammiferi marini». Per evitare danni, quindi, ogni giorno si registra con un idrofono il rumore prodotto in quel momento dal cantiere. E si stabilisce, di conseguenza, un’area di sicurezza intorno alla nave (che può variare da 500 a 2000 metri): se si avvistano al suo interno cetacei, i lavori si fermano finché gli animali non si allontanano».
Ma il rischio maggiore sono i sedimenti, cioè le polveri che si creano durante i lavori. «Se rimane nell’acqua per tempi molto lunghi, il sedimento può ridurne la trasparenza e, una volta sul fondo, può soffocare gli organismi più fragili, come quelli del coralligeno, molti dei quali sono filtratori» spiega ancora Ardizzone. Durante la perforazione per piantare i pali per i cavi d’acciaio si è così cercato di aspirare con delle pompe tutto il sedimento prodotto, per decantarlo sulle navi appoggio. «Ma è chiaro che qualcosa può sfuggire e quindi ogni giorno facciamo un controllo della trasparenza dell’acqua tutto intorno alla nave. C’è però una zona, delimitata da un quadrato, che si dà per persa, perché è là che perforazioni, scavi, posa del cemento e strutture complesse faranno inevitabilmente danni».
Per impedire l’espansione del materiale dannoso è stato previsto un sistema innovativo, che consiste nel chiudere le aree di lavoro con «muri» speciali. «Sono "pareti" di bolle di aria compressa, spinta dai compressori in tubi forati adagiati sul fondo. Queste creano una barriera fatta d’aria (una barriera solida sarebbe spazzata via dalla prima mareggiata), efficace per la separazione di masse d’acqua. Questi "muri", inoltre, riducono il rumore, che, passando dall’acqua all’aria, viene assorbito, un po’ come avviene con i pannelli fonoassorbenti. «I muri di bolle saranno completati nelle prossime settimane. Due uniranno la prua e la poppa con la terra, in modo da circoscrivere l’area di lavoro tra il relitto e la costa. Poi un muro circolare verrà realizzato intorno alle zone di perforazione esterne, quelle dei grandi pali, e il cerchio si sposterà di volta in volta, a seconda dei punti di lavorazione».
Superato il pericolo del carburante, aspirato nelle primissime fasi del naufragio, ci sono invece altri rischi per l’ambiente legati a ciò che è contenuto nel relitto? «Dovremo inserire sonde nella nave per prelevare campioni. Tutti i controlli finora dicono che la presenza di inquinanti nell’acqua è nella norma: probabilmente non c’erano sostanze tossiche nella nave». E una volta che la Concordia sarà raddrizzata? «Sui due lati verranno fissati 30 enormi cassoni di metallo, alti quanto un palazzo di 10 piani, inizialmente pieni d’acqua e poi svuotati». A questo punto, pieni d’aria, funzioneranno come una grande «ciambella», grazie alla quale il mostro marino tornerà a galleggiare.

Giuliano Aluffi