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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

OBAMA PUNTA SULL’ENERGIA

«Non vogliamo che i nostri figli siano minacciati dalla forza distruttiva di un pianeta che si riscalda». Nell’aulico discorso di accettazione per il secondo mandato, Barack Obama ha toccato un tema del tutto assente nella campagna elettorale: il riscaldamento climatico. Sarà perché l’uragano Sandy ha riportato il problema nel radar dell’opinione pubblica americana. Oppure, come sperano gli ambientalisti, sarà perché la seconda amministrazione Obama intende mantenere le promesse, realizzate a metà, della prima.
Vista la maggioranza repubblicana alla Camera, è però difficile che il presidente riproponga, tale e quale, il suo Climate Bill per il taglio obbligatorio alle emissioni di anidride carbonica, solo per vederlo fallire un’altra volta. Eppure, la politica energetica americana è comunque destinata a un corso assai diverso da quello che avrebbe imboccato Mitt Romney alla Casa Bianca.
Per cominciare, le case automobilistiche dovranno ancora lavorare sodo per centrare entro il 2025 gli obiettivi di efficienza (dagli attuali 8 litri a 4,3 litri per ogni cento chilometri) imposti da Obama due anni fa e che i repubblicani volevano ammorbidire. Così come Romney intendeva revocare le stringenti misure ambientali imposte dall’Epa (Environmental Protection Agency) sulle nuove centrali elettriche a carbone: siccome un quarto degli impianti è destinato alla pensione nel giro di quattro anni, per Big Coal – come viene chiamata la lobby americana del carbone, non meno potente e attiva di Big Oil – farà una bella differenza.
In tema di combustibili fossili, la nuova amministrazione ha scelte cruciali da assumere. Certo, non verranno esauditi i sogni di Romney, che diceva di voler allargare a dismisura le trivellazioni. Ma Obama non potrà non cogliere le opportunità che vengono dalla nuova abbondanza di gas. Lo shale gas che si ricava dal fracking (la fratturazione delle rocce sotterranee tramite un getto a pressione di acqua, sabbia e agenti chimici) ha trasformato radicalmente lo scenario energetico americano, con una cornucopia di energia a basso prezzo. Così basso (in Italia costa due volte e mezzo di più, in Germania tre) che la Bdi, la federazione delle imprese tedesche, ha appena levato un allarme: con una simile e crescente disparità nei costi dell’energia, competere con le industrie americane si prospetta sempre più difficile.
Il gap è dovuto al fatto che il gas, al contrario del petrolio, è difficile da trasportare (a meno di non liquefarlo a basse temperature). Obama è chiamato a decidere se autorizzare le esportazioni di quel gas naturale che all’improvviso abbonda, rischiando però di veder aumentare i prezzi.
Ma è chiamato anche a regolamentare in qualche modo il fracking, che sta causando i contraccolpi tipici di ogni corsa all’oro. L’Epa dovrebbe pubblicare i risultati dei suoi studi sugli effetti che il fracking produce sulle falde acquifere, probabile preludio di qualche normativa. Poi, entro fine anno, il Dipartimento degli Interni stabilirà le regole sul fracking nei terreni di proprietà pubblica.
«Se il presidente affronterà i problemi climatici e di sicurezza energetica occupandosi di abbassare i consumi e di facilitare la produzione di petrolio e gas – ha detto alla Reuters Michael Levi, analista di energia al Council on Foreign Relations) – è come se già avesse un doppio successo in mano».
Rendere efficiente la flotta automobilistica più energivora del mondo, riformulare il mix energetico con meno carbone e più gas (che emette un terzo di CO2 in meno) e scommettere ancora sulle energie rinnovabili: la ricetta energetica di Obama II non pare così dissimile dalla prima versione. Ma stavolta il presidente, senza l’assillo della rielezione, riuscirà forse a vincere qualche partita in più, magari non solo sull’energia.
Per evitare la «forza distruttiva del pianeta che si riscalda», il Paese più energivoro del mondo dovrebbe fare ben di più. Nel dopo-Sandy, Michael Bloomberg ha appoggiato Obama quasi chiedendo in cambio le «necessarie politiche climatiche». L’opposizione repubblicana alla Camera non lo consentirà facilmente. Ma nessuno sa cosa può ancora accadere in four more years.