Tommaso Cerno; Susanna Turco, l’Espresso 9/11/2012, 9 novembre 2012
C’ERA UNA VOLTA TONINO IL PURO
Gli slogan di Tangentopoli che si rivoltano, all’improvviso, contro di lui. Le virtù dell’ex pm, Tonino Di Pietro - trasparenza, legalità, Mani Pulite - frantumate da polemiche, inchieste e scandali. E trasformate nei sette vizi capitali di un partito in crisi di identità e voti. Sette peccati che affliggono l’Italia dei Valori, ormai sul Web ribattezzata Italia dei disvalori: un partito a gestione famigliare, un cerchio magico di fedelissimi che gestisce fondi, conti e segreti del movimento. E ancora candidati sbagliati, da Scilipoti a De Gregorio, un leaderismo che somiglia troppo a quello del nemico Silvio Berlusconi. E polemiche sui rimborsi elettorali in mezza Italia, oltre al tormentone delle case, maledizione nazionale che, da affittopoli a Scajola, ha fatto tremare tanti big. Ma stavolta è don Tonino a finire nella bufera, fra accuse e smentite. Sempre più lontano dal Pd, in caduta libera alle regionali siciliane, difeso via Web da Beppe Grillo, ma senza la prospettiva di un’alleanza con i 5 Stelle. Insomma solo.
1. Tengo famiglia
Casa e bottega, partito e famiglia in un frullato unico. Stile Mastella, che paradosso. La sua Idv, economicamente incatenata a un’associazione parallela, uguale nel nome ma composta solo da lui, la tesoriera Silvana Mura, e la seconda moglie Susanna Mazzoleni. La sede legale, comprata da una immobiliare che ha per nome l’acronimo dei tre figli (An.To.Cri.). Per dimora, a Roma, l’appartamento di via Merulana che lui definì sede di partito. Per le feste estive, a disposizione dei militanti la masseria di Montenero di Bisaccia.
Il figlio primogenito, Cristiano, poliziotto come il padre da giovane, lanciato nella politica molisana all’età di 28 anni, dimessosi tre anni fa dal partito perché lambito dall’inchiesta sulla Global Service (intercettazioni in cui raccomandava persone al Provveditore alle Opere Pubbliche di Molise e Campania) e poi, però, eletto per l’Idv in consiglio regionale (l’anno scorso, quando fu candidato, l’Idv di Termoli si dimise in blocco). Per la figlia Anna, poco più che ventenne, Di Pietro chiese (senza ottenerla) la certificazione di praticantato al quotidiano dell’Idv, per trasformarla in una giornalista. Stile Mastella e, da ultimo, stile Fini. Per via di suo cognato: Gabriele Cimadoro, ex Ccd, ex Udc, deputato Idv, titolare della società di compravendita immobiliare "Helvetia", indagato per concorso in abuso d’ufficio (pressioni per spingere alcune pratiche, indirizzare licenze edilizie, ottenere cambi di destinazione d’uso, eccetera).
2. Amici del capo
Amica del capo. Ombra di Tonino. Nella gerarchia un po’ medievaleggiante dell’Idv, se Di Pietro occupa le prime tre caselle, come scherzano, e nemmeno tanto, i fedelissimi, il quarto posto è di Silvana Mura. Classe ’58, originaria di Chiari nel bresciano, dove gestiva un negozio di abbigliamento, l’incontro con l’ex pm risale agli anni Ottanta, quando Di Pietro è pm a Bergamo. Ad avvicinarli è un giallo. L’omicidio di un amico della Mura, commerciante della moda, assassinato durante una rapina. Di Pietro è l’accusa e, da quel giorno, le loro strade non si sono più separate. A Sansepolcro, quando Di Pietro fonda l’Idv, lei c’è. Il suo potere cresce. Da Brescia vola in Emilia, assessore nella giunta Cofferati, poi il salto in Parlamento e la tesoreria. Vive di sigarette, caffè e conti, unica non consanguinea nell’associazione (poi chiusa nel 2009) che gestiva la cassaforte del partito. L’ombra di Tonino sta invece ai piani alti di una palazzina umbertina a via Emilio Faa di Bruno, nel cuore di Prati, a Roma. È il mega-studio del potente avvocato Sergio Scicchitano, mente e braccio dell’Idv nel Lazio e, di conseguenza nei palazzi del potere romano. Ai tempi del Di Pietro ministro del Lavori pubblici, finì all’Anas. Lontano dai riflettori, Scicchitano è presidente dei garanti del partito, indagato per fatture anomale non s’è dimesso. Anzi, consiglia Di Pietro, cresce i suoi delfini, a partire da quel Vincenzo Maruccio indagato per il Laziogate (vedi box), diventato in pochi anni da peone a braccio destro del leader.
3. Padre padrone
Superomista, padre padrone, iperattivo, fondatore e presidente del partito, dietro una parvenza di dibattito democratico ha sempre portato l’Idv dove diceva lui. Cambi di linea anche repentini e, fino alla tempesta attuale, sostanzialmente indiscussi (salvo abbandoni). Un anno fa, per dire la distanza con l’oggi, predicava la svolta moderata e di "responsabilità" al grido: «Mio padre votava Libertas» (e senza il governo Monti l’avrebbe forse persino attuata). Modalità berlusconiane sempre più accentuate nel declino (come ha notato l’ex capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi): toglie il proprio nome dal simbolo e, insieme, progetta di passare al partito del "Basta", definisce i dirigenti dissidenti dei meri «nominati, graziati da Sant’Antonio» (cioè da lui), si scaglia contro i comici (Maurizio Crozza), parla di «campagna di calunnie» e «scientifica operazione di killeraggio che va avanti da anni», non ascolta le richieste di un congresso straordinario, infine giura che rimarrà al comando della nave Idv «fino alla fine, ovvero fino a quando non troveremo insieme una persona che lo farà con altrettanto amore e passione». Ricorda qualcuno?
4. Che lista è questa
In teoria, doveva essere un partito di duri e puri, in pratica, s’annega in un mare di candidati sbagliati: molti gli impuri, nel senso generico di voltagabbana, o specifico dei comportamenti penalmente rilevanti. O entrambi. Il pioniere: Valerio Carrara, l’unico eletto dell’Idv nel 2001, che passò a Forza Italia ancor prima che aprisse il Senato («Ladro di voti», lo definì Di Pietro). Sergio De Gregorio, che nel 2006 dopo aver portato all’Idv 80 mila voti, tra un guaio giudiziario e l’altro (truffa, false fatturazioni, riciclaggio), passò col Cavaliere subito dopo aver agguantato la carica di presidente della commissione Difesa in quota al centrosinistra. Domenico Scilipoti, ex «bravo deputato e movimentista incredibile», anche lui finito nella categoria dei «Giuda». Antonio Razzi, ex magazziniere, che ha cambiato partito in nome di un mutuo. Americo Porfidia, indagato dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli. Paolo Nanni, consigliere regionale in Emilia, indagato per peculato e specializzato nel genere "convegni inventati". Marilyn Fusco, vicepresidente della giunta regionale ligure, indagata perché sospettata di aver favorito una società nella costruzione del porto turistico di Ospedaletti. Dice oggi Silvana Mura che «il problema è che siamo cresciuti troppo in fretta: la classe politica non è stata sempre ben selezionata». Ma nel partito, l’operazione pulizia c’è chi la chiedeva da anni, invano.
5. Militanti separati
Dice Leoluca Orlando, ex numero due del partito e oggi sindaco di Palermo, che l’Idv dovrebbe fare «da lievito». Ma nella sua storia, Di Pietro è riuscito più a litigare che a lievitare. Tolto l’ultimo con Massimo Donadi, il dissidio più fragoroso fu quello con Elio Veltri, che oggi è facile profeta nel dire che «la caduta libera dell’Idv è dovuta agli stessi motivi per i quali me ne andai». Negli anni si contano gli abbandoni di Willer Bordon e Rino Piscitello, che parteciparono alla fondazione del partito, e, più di recente, quelli di Pino Pisicchio, passato all’Api nel 2009 in polemica col radicalismo e il sistema padronale; Renato Cambursano, altro compagno di strada secolare, passato al gruppo misto nel 2011 perché contrario al no alla finanziaria del governo Monti; il senatore Elio Lannutti, presidente di Adusbef, che a luglio ha fatto sapere che «di certo non mi ricandiderò con Di Pietro»; il leader girotondista Pancho Pardi che, «deluso», ha preannunciato altrettanto martedì scorso. Prossimi candidati all’addio: Orlando, che non a caso in primavera ha preferito Palermo alla carica di portavoce Idv; Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, che definisce ormai Di Pietro «un tappo» e gli consiglia «un passo di lato», ma dubita assai di essere ascoltato.
6. Casa, amara casa
In un partito-famiglia non possono mancare le case. Tormentone della politica italiana, ha messo in imbarazzo più di qualche big, da Massimo D’Alema all’epoca di affittopoli, a Clemente Mastella e Claudio Scajola con l’appartamento vista Colosseo, pagato a sua insaputa dalla cricca Balducci-Anemone. Ma ora è Tonino a finire nella bufera, fra accuse, inchieste, smentite, precisazioni via Twitter e atti notarili che viaggiano sul Web. E se "Report" ha esagerato, perché le case non sono 56, è pure vero che sono undici. Tonino ne possiede una a Bergamo e una a Roma, più la magione di campagna a Montenero di Bisaccia, 300 metri quadri non certo di pregio, ma sistemati, allargati e restaurati. Sua moglie Susanna ha quattro appartamenti, e pure i figli sono belli e piazzati: Cristiano al paese natio, Anna e Totò intestatari di un appartamento cadauno in quel di Milano. Ma quer pasticciaccio brutto, quel che più imbarazza l’Idv, a partire dai big del partito, è capitato prioprio nella via Merulana di gaddiana memoria. Residenza romana del capo? O sede del partito? Restaurata? E con i soldi di chi? Ecco che quel che imbarazza l’Idv non è la casa in sé, già nota, come le altre del resto, ma l’impacciata autodifesa che Di Pietro ha inscenato davanti alle telecamere. Riferendosi all’appartamento, come all’ex sede dell’Idv. Apriti cielo, il solito Donadi, in rotta con il leader, ha chiesto chiarimenti. Lui c’era stato a mangiare gli spaghetti, altro che sede: «Ho chiesto privatamente una spiegazione a Di Pietro, che non è mai arrivata: prima la sede dell’Idv era in via dei Prefetti e poi a piazza Vittorio», spiega. E così il fantasma delle case bagnate dai soldi del partito, come per Umberto Bossi a Gemonio, rispunta.
7. Spese anomale
Il suo anatema contro i comitati d’affari, ai tempi di Tangentopoli, è lo slogan dell’Idv. Al punto che, nel pieno del Laziogate, mentre i giornali riempivano pagine su Batman Fiorito, il capogruppo Idv Vincenzo Salvatore Maruccio, l’avvocato nato allo studio Scicchitano e diventato uno degli uomini più vicini a Di Pietro, sparava: «Non ci sto a finire in questo calderone». Peccato che, proprio in quei giorni, partisse la segnalazione a Bankitalia, per le operazioni anomale targate Idv. Già, mentre predicava bene, Maruccio spostava circa 780 mila euro su conti personali. Un elenco di spese alla Fiorito è già uscito dalla Procura. Ristoranti, localini. Ma il grosso non si trova ancora. E l’inchiesta promette sviluppi. Il problema è che, se anche Di Pietro s’è affrettato a prendere le distanze, ottenendo le dimissioni di Maruccio, non è la sola ombra che si allunga sull’Idv in materia di fondi pubblici. Non s’è ancora conclusa, ad esempio, la querelle fra Di Pietro e Achille Occhetto, dopo le Europee del 2004, quando allo scioglimento della lista comune, appoggiata anche da Giulietto Chiesa, la Camera trasferì il dovuto all’Idv, che se lo tenne. E poi, spiega Francesco Paola, avvocato di Occhetto: «È la gestione dei fondi dell’Italia dei valori, attraverso l’associazione poi sciolta, che accentrava tutti i soldi su Di Pietro, sua moglie e Silvana Mura, la grande anomalia». L’associazione, che secondo Di Pietro corrispondeva al partito, secondo Paola è uno strumento illecito per gestire i rimborsi elettorali. Fatto sta che, anche in giro per l’Italia, il tallone d’achille è questo. Come in Calabria, quando alle regionali di sette anni fa Di Pietro decide di presentarsi in coalizione con Pdci e l’associazione Progetto Calabrie. La lista ottiene il 4,6 per cento e fa scattare il rimborso elettorale. A rimanere, però, a bocca asciutta è Progetto Calabrie, che non riceve un euro. Come mai? Nell’autocertificazione alla Camera il gruppo viene misteriosamente depennato. E, guarda caso, in tribunale l’Idv è rappresentata dal solito Maruccio.