Natalia Aspesi, la Repubblica 9/11/2012, 9 novembre 2012
FANTOZZI, IL REGISTA MONGOLO E LE SALE VUOTE DEI CINEMA
È scoppiata una grigia tenzone tra i festival d’autunno, Roma e Torino, che si accusano a vicenda di offrire il famoso red carpet ridotto a un deserto di celebrità e di proporre quel tipo di film, soprattutto mongolo o uzbeko, che farebbe inorridire il vecchio Fantozzi. Se ancora andasse al cinema, cosa improbabile perché i Fantozzi di tutto il mondo si sono fatti furbi e stanno a casa.
Infatti il cinema va male e non si sa se la responsabilità sia dei film brutti che vanno a vedere in tanti, o dei film belli che vanno a vedere in pochi. Oppure delle piccole sale cinematografiche nel centro delle città, che chiudono, o dei distributori che non osano più distribuire o lo fanno sbagliando target, o del pubblico che non ha più soldi o dei furboni che scaricano tutto da Internet. Ma anche dei film scemi che nessuno va più a vedere, mentre contrariamente a quel che si crede, sono i film intelligenti ad avere un pubblico non oceanico ma fedele. Certo i cinespettatori sono molto cambiati, forse più pigri, forse più svegli: e per esempio certe pizze come “L’avventura” di Antonioni o “L’anno scorso a Marienbad” di Resnais, che ai loro tempi riempivano le sale alimentando poi scontri ideologici e artistici molto popolari, oggi, al di fuori dei cineforum, provocherebbero lo sradicamento delle poltrone.
Però è cambiato anche il cinema, e infatti adesso piacciono alle masse dei film anche caricati di stelle dai critici, che provengono dalla cultura pop, per esempio dai comics, come i tre film di Batman diretti da Christopher Nolan. Oppure l’ultimo dei ventitré 007, “Skyfall”, diretto dal bravo Sam Mendes, con Daniel Craig che è il maschio del momento; ma anche “Ted”, che in apparenza sciocchino avendo come protagonista un orsacchiotto di pezza, alla fine risulta irresistibile per la sua ingegnosa scorrettezza e perché il regista è quel SethMacFarlane autore prolifico per la televisione di quel capolavoro che è “I Griffin”.
A parte casi di grandioso successo, non frequenti, la cinepopolazione è sempre più frantumata, anche per l’eccesso di offerta: e per esempio da ieri sugli schermi ci sono ben undici nuovi film, troppi perché le sale si riempiano. Intanto si può immaginare la velocissima fuga che farebbe Fantozzi davanti a un film di regista austriaco, che racconta di due coniugi ottantenni di cui uno è colpito da una malattia degenerativa e l’altro lo assiste. Invece “Amour” di Michael Haneke, interpretato dalla Riva e da Trintignant, carico di premi ed elogi, sta avendo un grande successo, perché, o anche se, è un capolavoro. E i capolavori, qualunque sia la loro storia, i loro interpreti e la loro provenienza, non falliscono mai.
È cambiato anche il rapporto con le star: un tempo si andavano a vedere i film per vedere loro, oggi contano solo i ruoli. Diventi una celebrità come Vampiro, come Uomo Ragno, ma se cambi personaggio, puoi ritrovarti immerso nel nulla con nessuno che chiede più l’autografo. Si pensa con malinconia al Festival di Roma che si vanta di poter avere sul suo ormai fantomatico tappeto rosso il povero vecchio Stallone e quello di Torino il povero vecchio Hoffman, mentre se ci fossero Belen Rodriguez o Alessia Marcuzzi, dall’imprecisato titolo di showgirl, scoppierebbero pericolosi tumulti di fan impazziti. Tanto conta il ruolo che se non interessa, spegne pure le star: è il caso di Cenerentola e della Regina Cattiva, che in due diversi film hanno sepolto la fama della giovanissima Kristen Stewart diva assoluta della saga “Twilight” e della veterana Pretty Woman Julia Roberts. Si sta dileguando anche l’ultimo idolo, Brad Pitt, annegato nel profumo da pubblicizzare. Quanto ai Festival, come quello ambizioso e costoso di Roma che si inaugura oggi, lo scopo è rappresentare il meglio, del cinema sperimentale e di quello dignitosamente popolare: cioè film d’autore per nicchie impegnative, opere prime anche dissennate e destinate a scomparire, cinema massimamente esotico e di possibile successo cerebrale, come è capitato nei decenni, a quello giapponese, cinese, sudamericano, coreano, filippino, macedone, ucraino, georgiano, curdo, turco, algerino, malese, tagiko ecc. Esistono poi i film di massima qualità accessibili al mercato, che però non hanno bisogno dei Festival per conquistare il grande pubblico: fin che esiste naturalmente. Perché già si trovano film che non arrivano nelle sale, reperibili a pagamento solo sul web, e riviste come Ciak hanno già cominciato a recensirli.