Marco Travaglio, l’Espresso 9/11/2012, 9 novembre 2012
SEVERINO DI NOME NON DI FATTO
La presunta legge anticorruzione appena approvata dalle Camere sortirà l’unico effetto pratico di anticipare la prescrizione per la "concussione per induzione" (cioè per le tangenti chieste senza violenza o minaccia, cioè per quasi tutte le tangenti). Eppure il ministro della Giustizia, Paola Severino, intervistata dal Corriere della Sera, anziché stendervi un velo pietoso, se ne vanta come di un traguardo storico: «Questa atmosfera di collaborazione (fra Pd e Pdl, ndr) dipende dalla considerazione che noi stiamo dando un contributo tecnico». In realtà dipende dal fatto che la legge è un gradito omaggio a Berlusconi, Penati, Tedesco, Del Turco e altri imputati eccellenti di concussione per induzione.
MA IL MEGLIO ARRIVA quando l’intervistatore le chiede notizie del falso in bilancio, che in un’altra intervista ("la Repubblica", 20 febbraio) essa stessa si era impegnata a "rivedere" quanto prima. Poi ci volle un ddl dell’Idv, che ripristinava il reato così com’era prima della depenalizzazione berlusconiana del 2002, perché se ne parlasse in Parlamento: naturalmente per bocciarlo a opera del Pdl, dell’Udc e del governo nella solita balsamica "atmosfera di collaborazione". Accadde prima delle ferie e la Severino, in trasferta in America, si arrabbiò molto col suo sottosegretario Salvatore Mazzamuto, già consulente di Alfano, che aveva dato parere positivo all’emendamento Pdl affossando la proposta Di Pietro.
«C’è stato un errore - tuonò la ministra -, l’Ufficio legislativo aveva fornito al sottosegretario le schede necessarie a dare parere negativo all’emendamento Pdl». Mazzamuto sostenne di aver agito a propria insaputa. E restò al suo posto. Anche perché si scoprì che nelle schede il parere era favorevole: del resto il capo di quell’ufficio allora era Augusta Iannini in Vespa, che già imperversava al ministero nel 2002 quando Berlusconi spazzò via il falso in bilancio. Richiesto del suo parere sul tema, Mazzamuto rispose: «Io non ho opinioni». Ora conosciamo quello della Severino: «Ritengo indispensabile non tornare alla norma originaria, che aveva consentito alla giurisprudenza di dilatare la fattispecie e di ricomprendervi indistintamente ipotesi fraudolente e ipotesi connotate solo da scarsa trasparenza», mentre vanno punite solo «le condotte adeguate a trarre in errore i destinatari del bilancio». Come se la "scarsa trasparenza" dei libri contabili di una società fosse una quisquilia ("solo") che non trae in inganno i destinatari. E come se prima del 2002 i tribunali pullulassero di imputati e le carceri di condannati per falso in bilancio.
In realtà i processi si contavano sulle dita di due mani e i detenuti su quelle di un monco. Cesare Romiti, per oltre 100 miliardi di lire di fondi neri Fiat, fu condannato ad appena 11 mesi di carcere. Eppure, mentre negli Usa George W. Bush affrontava i primi grandi scandali finanziari con la legge Serbanes-Oxley, portando le pene a 25 anni di carcere,in Italia si smantellava il pochissimo che c’era. Per le società non quotate, il falso in bilancio divenne punibile solo a querela dell’azionista. Il che - osservò il giudice Davigo - «equivale a prevedere la perseguibilità del furto a querela del ladro».
LE PENE SCESERO fino a garantire la prescrizione a tutti. In più si fissarono "soglie di non punibilità" talmente alte che nemmeno il falsificatore più incallito riusciva a superarle: la famosa "modica quantità" di fondi neri. Al punto che nel 2004 il procuratore della Corte europea invitò i giudici italiani a disapplicare le nuove norme per plateale incompatibilità con le direttive comunitarie, che prescrivono "sanzioni adeguate" per «efficacia, proporzionalità e capacità dissuasiva». La Severino queste cose le sa bene, anche perché nella vita precedente difendeva gruppi e manager nei guai anche per falso in bilancio. Ora qualcuno potrebbe sospettarla di un conflitto d’interessi affettivo, a meno che non ricordi di aver cambiato mestiere. Oggi non deve più difendere chi trucca i bilanci dai magistrati, ma i cittadini da chi trucca i bilanci.