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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

IL PARTIGIANO CON IL SOMMERGIBILE. BARCA, UNA VITA TRA PCI E GIORNALI

Se ne è andato a quasi 92 anni, Luciano Barca: lucido, combattivo, curioso com’è stato per tutta la vita. Ha scritto molto di politica e di economia. Ma il suo libro più significativo è, per un comunista di lunghissimo corso, anche il più curioso. Si chiama «Buscando per mare con la X Mas», lo hanno pubblicato gli Editori Riuniti, e vi si narra del giovane ufficiale Barca Luciano, medaglia d’argento al valor militare, che a bordo del suo sommergibile ammutinato riguadagna l’Italia, dove si unirà alla lotta partigiana. Alla caduta di Mussolini, Barca ha chiesto a un sergente di sondare gli umori dei sommergibilisti, una settantina. La maggioranza si dichiara socialista, i fascisti sono 11, i democristiani è impossibile catalogarli.
Avrà presto modo di conoscerli, Barca. Con un giovanissimo Giulio Andreotti ha parlato di politica e giocato a ping pong, assieme a Franco Rodano, Marisa Cinciari, Adriano Ossicini, alla Scaletta, il circolo dei gesuiti frequentato dagli studenti del Visconti. Le strade si separano presto, Andreotti con Alcide De Gasperi e la Dc, lui prima con Rodano e gli altri (i famosi cattocomunisti) nella Sinistra cristiana, poi nel Pci: il rapporto personale rimarrà. Aldo Moro lo ha conosciuto più tardi, ma sarà lui, per conto di Enrico Berlinguer, a tenere con Moro, personalmente e tramite Tullio Ancora, i rapporti più stretti. Fino alla notte tra il 15 e il 16 marzo del 1978.
È uomo di partito ma anche di relazioni, Barca. Nel partito, dove, da quel berlingueriano sui generis che è, si colloca tra il centro e la sinistra, gli capita spesso di essere, seppure a modo suo, e quindi civilmente, settario. Specie con la destra interna, del cui padre nobile, Giorgio Amendola, dice che ha più fiuto politico di tutti, ma di economia sa solo quello che gli racconta Adolfo Tino. All’esterno, invece, è capace di aperture significative verso il mondo della finanza e dell’impresa, ed è tra i primi a sostenere che, sull’Europa, i comunisti devono cambiare posizione. Comincia presto, nel 1957, da direttore di Politica ed economia, la neonata rivista economica del Pci pensata, inizialmente, per affidarla ad Antonio Giolitti. E forse pure prima. Nell’immediato dopoguerra, Pasquale Saraceno lo chiama tra i suoi collaboratori, e inizia a vedersi regolarmente, a Milano, con un gruppo che comprende, tra gli altri, Adriano Olivetti, Ezio Vanoni, Giorgio Sebregondi. Una volta assunto all’Unità come redattore economico, chiede per correttezza a Saraceno se non sia il caso di sospendere gli incontri. Continueranno.
All’Unità si fa strada rapidamente: arriverà a dirigerne l’edizione torinese. Togliatti la considera, con viva soddisfazione del marinaio Barca, «la marina del partito». Ai brillanti ufficialetti di estrazione borghese che vi lavorano consente cose impensabili per un funzionario di partito. Persino quella di essere favorevoli al piano Marshall, e di consegnargli di persona un vibrante documento di protesta quando la Cecoslovacchia, su ordine di Mosca, si tira indietro. Solo 15 giorni dopo, durante una delle consuete visite al giornale, si chiuderà in una stanza con Barca, Alfredo Reichlin e il capo degli esteri, Gabriele De Rosa, per spiegare loro pazientemente che è cominciata la guerra fredda.
Seguono quarant’anni di milizia politica e giornalistica, e di alterne fortune. Fino alla Bolognina. Barca non ha cuore di seguire Achille Occhetto e il Pds. Continua, però, a stare a sinistra, a intervenire, a studiare: il sito della sua associazione culturale, Etica ed economia, ne testimonia l’impegno. I suoi diari dall’interno del Pci li ha affidati alla fondazione Giangiacomo Feltrinelli e Rubbettino li ha pubblicati qualche anno fa. Alcuni dei suoi appunti non corrispondono a quanto ricordano altri suoi autorevoli compagni. Non so chi abbia ragione. Per la parte (ovviamente minima) che mi riguarda, compreso il resoconto di un surreale pranzo a Zagorsk, pochi giorni prima dello strappo di Berlinguer, con un pope che voleva brindare con me alle rovine della Polonia, la precisione è assoluta e, devo aggiungere, l’affetto e la stima evidenti: nonostante vi si parli della mia uscita da Rinascita che lui dirigeva, e dal Pci (quindi, per un direttore e per un dirigente politico di una sconfitta). Gliene abbiamo fatte tante (io meno di altri) in quegli anni difficili. A ripensarci adesso, non me ne vanto neanche un po’.
Paolo Franchi