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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

L’ITALIA È UN PAESE CHE DÀ I NUMERI


Quando si dice “dare i numeri”. Lunedì 29 ottobre le pagine locali (romagnole) di quattro quotidiani riportano la notizia di un pellegrinaggio di nostalgici a Predappio per il novantesimo anniversario della marcia su Roma. Ecco come hanno dato la notizia. Primo quotidiano: «Duemila partecipanti a una manifestazione a Predappio eccetera». Secondo quotidiano: «Tremila partecipanti...». Terzo quotidiano: «Cinquemila partecipanti...». Quarto quotidiano: «Seimila partecipanti...». Non mi sto inventando niente: è tutto documentato, carta canta. Allora, duemila, tremila, cinquemila o seimila? Perché numeri così discordanti? L’interpretazione benevola imputa la discordanza al fatto che i cronisti abbiano fatto ricorso a fonti diverse e, sfortunatamente, almeno in tre casi su quattro (o magari in tutti e quattro), non attendibili. Ma l’interpretazione benevola non coglie il punto. Il punto è che in questo Paese, quando si tratta di numeri, è lecito dare i numeri, ossia presentare i numeri che ci pare. Tanto, a chi importa? Sarebbe comodo scaricare tutta la colpa sui giornalisti, su una certa sciatteria nel trattare le notizie che riguardano appunto “numeri” (si tratti di nostalgici a Predappio o di partecipanti a una manifestazione sindacale, di percentuali di voti raccolte dai partiti o dell’entità del debito pubblico). Perché la colpa, se c’è, è di un intero Paese, è di una tradizione culturale nella quale non c’è spazio per una considerazione seria e rigorosa di ciò che può e deve essere quantificato e delle relative implicazioni.

Formazione incompleta. Insomma, diamo i numeri perché pensiamo che i numeri non siano importanti. Alla base ci sono le storiche tare del nostro sistema educativo, c’è il fatto che la nostra tradizione scolastica privilegia, fin dall’Ottocento, la formazione letteraria a scapito di quella scientifica (alla quale la matematica fornisce fondamenti e linguaggio), c’è il fatto che non si è mai posto rimedio a un simile squilibrio, non si è mai presa la decisione di dare ai giovani una formazione completa, nella quale fossero presenti, in maniera equilibrata, sia l’apprendimento delle materie letterarie che di quelle matematico-scientifiche. Con il risultato che resta perfettamente lecito, e socialmente non disdicevole, che un laureato in materie umanistiche sia, quanto a cultura scientifico-matematica, un perfetto ignorante. Le conseguenze sono drammatiche. Non è un caso che i dibattiti pubblici su questioni complesse che richiederebbero una certa capacità di interpretare numeri, valutarne le implicazioni, siano così spesso impregnati di irrazionalità. Un pubblico non educato a un abito di razionalità e rigore è vulnerabile, esposto alla facile manipolazione di demagogie contrapposte. E nemmeno sospetterà di essere preso in giro tutte le volte che qualcuno si metterà a dare i numeri.