Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 09/11/2012, 9 novembre 2012
TUTTO IL POTERE AL POPOLO MA NEI LIMITI DELLA CARTA
Prendo spunto da una risposta sull’art. 1 della Costituzione in cui spiegava quell’essere stata definita, l’Italia, «Una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Non trova che la parte che andrebbe meglio approfondita di quell’articolo non sia la prima frase, bensì la seconda, in particolare nella sua conclusione? Nulla da eccepire sul dovuto «la sovranità appartiene al popolo», ma vorrei chiederle il perché si sia aggiunto immediatamente dopo il «che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Non sarebbe stato meglio se i padri costituenti non fossero andati oltre la virgola? L’aver aggiunto proprio nel primo articolo quel paternalistico paletto oltre cui la stessa principe sovranità popolare non poteva andare, non è fuorviante, trasmettendo fin da subito l’impressione che proprio la sovranità popolare non sia esente dall’essere fallace e che per questo la si debba esercitare in forme e limiti definiti? Sembra quasi che si voglia ricordare quanto lo stesso popolo possa essere immaturo e irresponsabile nel decidere del proprio destino. Una visione, questa, che aveva ben più esplicitamente anche il regime precedente e che in qualche modo si è trascinata sino ad oggi: è proprio la democrazia diretta che continua a essere messa ai margini delle decisioni politiche. Permettendo il successo della politica dal «dito puntato» può far comodo ai populisti, ma fa dimenticare come, in democrazia, sia il popolo il principale responsabile di se stesso e politicamente si meriti sempre ciò che ha, anche quando non vota!
Mario Alberti
Noceto (Pr)
Caro Alberti, il popolo, inteso come massa indistinta di cittadini, non può amministrare la cosa pubblica, impartire la giustizia, negoziare i trattati, affrontare i problemi creati da una calamità naturale, fare programmi di lungo respiro per lo sviluppo del Paese, combattere il crimine, l’evasione fiscale, la frode, la corruzione. È lecito auspicare un certo grado di democrazia diretta. Ma ciò che è possibile in Svizzera non è necessariamente tale in Germania (due Paesi che hanno molte affinità culturali). La storia del federalismo, a questo proposito, è molto interessante. Gli Stati federali nascono dalla diffusa convinzione che ogni decisione debba partire dal basso e rispondere anzitutto alle esigenze di una comunità locale. Ma l’esperienza dimostra che nei principali Stati federali, dalla Svizzera agli Stati Uniti, il potere centrale si è progressivamente rafforzato, con il passare del tempo, assumendo funzioni che erano prima strettamente locali. Il fenomeno è dovuto, tra l’altro, alla creazione dello Stato assistenziale, all’economia programmata, alla nascita di nuovi diritti che chiedono di essere pubblicamente tutelati.
Nel caso della Costituzione italiana, inoltre, i costituenti sapevano che tutti i regimi dittatoriali e totalitari si erano imposti grazie a un considerevole consenso popolare. Furono popolari i giacobini francesi all’epoca del terrore. Fu popolare Napoleone Bonaparte soprattutto negli anni dei suoi successi militari. Fu popolare il nipote, Luigi Napoleone, quando venne catapultato al vertice dello Stato repubblicano con più di 5 milioni di voti contro meno di 2 milioni ai suoi avversari e fu più tardi autorizzato, con 7 milioni e mezzo di voti, a scrivere per se stesso una costituzione imperiale. Fu popolare, in quasi tutti gli Stati combattenti all’inizio del conflitto, la Grande guerra. Furono popolari, almeno durante alcune fasi del loro potere, Mussolini, Stalin, Hitler. Una delle maggiori preoccupazioni dei liberali europei, fra l’Ottocento e il Novecento, fu la «dittatura della maggioranza». Sapevano che il «popolo», quando crede di conquistare il potere, lo consegna prima o dopo nelle mani di un dittatore, spesso demagogo e populista. Fu questa la ragione per cui i costituenti preferirono ricordare che la sovranità si «esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
Sergio Romano