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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

IN DIFESA DEL PARADISO DI DANTE

Umberto Eco pubblica Scritti sul pensiero medievale, opera in cui raccoglie, con revisioni e ritocchi, tutto quanto ha scritto sull’argomento dal 1956 al 2010, compresi articoli composti per convegni, riviste e giornali, escludendo soltanto quelli ripetitivi (Bompiani editore). Lo scopo di questo libro, come dice l’autore, «è di offrire una immagine di un’epoca», incentrata sulla problematica estetica, includendo però nell’area semantica dell’espressione vari fenomeni e concetti filosofici connessi con la Bellezza, l’arte e i rapporti di questa con la morale e con la vita dell’uomo. Dai vari saggi emerge un quadro complessivo dell’età medievale di straordinaria ricchezza e originalità.
È nota la metafora con la quale Hegel, nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia, dopo aver parlato con ampiezza e profondità della filosofia antica che si estende per un periodo di circa un millennio (dal VI secolo a. C. al VI d. C.), affronta la presentazione del pensiero medievale dicendo che, per percorrere l’altro millennio (dal VI al XVI secolo), dovrà calzare «gli stivali delle sette leghe». Hegel, in effetti, pensava che ci sarebbe stato ben poco nel Medioevo su cui sarebbe valsa la pena soffermarsi a lungo, e appunto per questo intendeva calzare «gli stivali delle sette leghe», ossia compiere una rapida cavalcata e trattare il pensiero di questo periodo nel modo più veloce possibile.
Le cose oggi sono cambiate. I testi dei filosofi medievali hanno incominciato a essere editi, tradotti e studiati soprattutto a partire dal secolo scorso, ma rimane ancora molto da fare. Per capire il Medioevo, e in generale autori e pensieri di un’epoca, due condizioni si impongono come necessarie: conoscere a fondo i testi, e affrontarli non con distacco come referti in vitro, ma con gusto, interesse e affetto. In Eco si verifica proprio questo: conosce assai bene autori e testi medievali, molti dei quali sono ai più ignoti, e li legge e interpreta con passione. A questo proposito egli confessa: «Questo gusto e questa passione non mi hanno mai lasciato, anche se poi ho battuto altre strade. Così il Medioevo è rimasto, se non il mio mestiere, il mio hobby — e la mia tentazione costante, e lo vedo dovunque in trasparenza, nelle cose di cui mi occupo, che medievali non sembrano e pur sono».
Il termine «Medioevo» è stato coniato — precisa Eco — «per trovare alloggio a una decina di secoli che nessuno riusciva più a collocare, dato che si trovava a mezza strada fra due epoche "eccellenti". E tra le accuse che venivano fatte a tale epoca, considerata priva di una precisa identità, "c’era proprio quella di non aver avuto sensibilità estetica"».
In questi scritti Eco dimostra invece la centralità dell’idea del Bello nei testi e nell’uomo del Medioevo: un dato di fatto che solo una «superficiale conoscenza dei testi» e una «incomprensione fondamentale della mentalità medievale» non hanno permesso di intendere. In effetti, ci si può ben accorgere «che la letteratura filosofica e teologica medievale non contiene soltanto delle trattazioni accademiche sul Bello, ma pullula di vere e proprie esclamazioni ammirative che operano come una mediazione tra dato filosofico e manifestazione del gusto e della sensibilità».
Nel corso del Medioevo il Bello si imporrà a livello metafisico addirittura come uno dei «trascendentali», ossia come una «perfezione ontologica», una delle proprietà dell’essere insieme alla «unità», alla «verità» e alla «bontà», come sostennero Bonaventura, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino: «Riconoscere la trascendentalità del Bello — precisa Eco — significa conferirgli una dignità metafisica, una stabile oggettività, una estensione universale: significa portare l’estetico a un livello cosmico, significa riconoscere che il problema del Bello assume un rilievo imprescindibile».
Uno dei capitoli più densi e pregnanti è quello sui criteri formali del Bello in Tommaso, che consistono in proportio, integritas, claritas, parole che — dice Eco — l’abuso che ne ha fatto la tradizione scolastica «ha rese ormai oscure per eccesso di esegesi». Questi tre concetti indicano la struttura e l’espressione di carattere ontologico della forma, che Eco così spiega: «Proporzione, integrità e chiarezza sono i tre modi in cui la forma può essere considerata come intera. La forma è integra proporzione che può manifestarsi come tale, è la totalità del rapporto manifestantesi, è la proporzione di un tutto che si significa». Con gusto squisito, Eco illustra questi concetti anche con splendide immagini, in tre degli otto gruppi di miniature tratte da preziosi codici, che non ci era mai capitato di trovare in altre opere.
Ci siamo soffermati sul fondamento metafisico della Bellezza, elevata a livello trascendentale e connessa con la forma, in quanto costituisce uno degli assi portanti dell’interpretazione del pensiero medievale di Eco. Ma molti altri sono i temi trattati, come quelli dei rapporti del Bello con la teologia, con l’etica, con la psicologia, con la dottrina dell’arte. Di rilievo sono anche i saggi sull’enciclopedia, sul concetto di metafora, sulla cabala e sul significato simbolico degli animali nel Medioevo.
Fra gli scritti minori emerge la Lettura del Paradiso. Eco capovolge il giudizio che si legge nella famosa Storia della letteratura italiana di De Sanctis, secondo cui il Paradiso è poco letto e poco gustato, in quanto «stanca soprattutto la sua monotonia». Eco scrive invece che «il Paradiso è la più bella delle cantiche della Commedia». È tutto un gioco di luci e di colori, espresso con il sentimento dell’uomo medievale: «Il Medioevo identificava la bellezza (oltre che con la proporzione) con la luce e con il colore». La poetica della luce si fonda sulla metafisica della luce, che nel Medioevo ha avuto un ruolo assai importante, come in Grossatesta e in Bonaventura.
Anche Eliot sosteneva che il Paradiso è la più bella delle cantiche della Commedia, che «non è mai arido», ed è «intensamente eccitante». Il fondamento della beatitudine — espresso in un verso messo in bocca a Piccarda: E ’n la sua volontade è nostra pace — è sempre lo stesso, ma presentato con variazioni e gradi di intensità sempre crescente, proprio come avviene per la luce. A nostro avviso, questo articolo di Eco è un vero gioiello, che meriterebbe di essere letto in tutti i Licei, per far comprendere come la cantica più bella non sia l’Inferno, come si continua a dire, ma proprio il Paradiso.
Giovanni Reale