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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

La politica italiana pare si appresti a mandare in scena, alle prossime elezioni, uno dei suoi più vistosi paradossi

La politica italiana pare si appresti a mandare in scena, alle prossime elezioni, uno dei suoi più vistosi paradossi. Al punto più basso di legittimazione delle istituzioni e di fronte alla crisi economica più acuta dal dopoguerra, lo scenario potrebbe infittirsi di soggetti «alieni». Cioè di soggetti privi di esperienza nell’arte del governo, che è fatta di norma, e in eguale misura, della capacità di suscitare speranze e raccogliere consenso, da un lato, e di adottare decisioni tecnicamente robuste, dall’altro. La politica italiana promette invece d’essere sempre di più popolata da un lato da “tecnici” inadatti a cercare consenso (molti degli attuali ministri hanno spesso rivendicato questa attitudine), dall’altro dai “dilettanti” del Movimento 5 stelle, ancora non contaminati dall’usura del potere, ma pure mai messi veramente alla prova nell’attività di governo. In mezzo, poco. Nel centro-destra, partiti politici che camminano sulle sabbie mobili e che stentano a ritrovare l’identità smarrita, nel centro-sinistra un Pd che si è salvato per ora in calcio d’angolo, grazie alle primarie. Non vi è nulla di male né nel tecnico né nel dilettante. Tutti e due il prodotto di una politica debole. E tutti e due pronti a sferrarle l’attacco finale, dalla zona Centro per i ministri di Monti e dalla trincea anti-antiestablishment per gli attivisti 5 stelle. I primi sono abituati a risolvere problemi complessi, nei loro studi. Sono spesso professori universitari, visto che manca nel nostro Paese una qualunque altra istituzione dedicata alla selezione della classe dirigente. I professori arrivati al capezzale della politica hanno potuto decidere fino ad ora senza dover raccogliere consenso tra gli elettori né sottostare ai veti dei partiti. Non sarà sempre così, anzi. Dovranno vedersela, alle elezioni e in Parlamento, con il loro diretto contraltare: i dilettanti a 5 stelle. Avendone intervistati diversi, ogni volta torno convintamente sull’impressione originaria. Lontanissimi dall’immagine del leader-padrone, volenterosi ed educati, hanno un po’ tutti l’aria del geometra trentenne che sa come si aggiustano le mensole di casa senza sporcare. Nessuna spocchia da professore, nessuno sproloquio da funzionario giovanevecchio che replica le dottrine dei tempi che furono. Ci fanno vedere uno spicchio di società che da tempo era rimasto inascoltato e che ha trovato un veicolo agibile su cui salire. Alcuni lo raccontano senza giri di parole: “Sono andato a un’assemblea del Pd ed erano tutti vecchi. Non decidevano niente e si chiamavano “compagni”. A me dava fastidio”. D’altro canto Grillo non ha mai nascosto di preferire l’inesperienza tra i suoi sottoposti. La giustificazione pubblica è che chiunque sia in grado di fare meglio del politico navigato. Un argomento già sentito: da Andrew Jackson negli Stati Uniti (le funzioni pubbliche sono talmente semplici che chiunque è in grado di svolgerle) alla cuoca di Lenin (che avrebbe potuto diventare Capo dello Stato), al Qualunquismo di casa nostra (per Giannini ai cittadini servivano solo ragionieri e non politici per essere amministrati). Con Grillo il dilettantismo è eretto a sistema, se si considera il criterio annunciato per le candidature nazionali. Entreranno nelle liste solo gli attivisti già candidati in elezioni locali che non sono stati eletti. Insomma, i “trombati”, come i grillini avrebbero detto per candidati di un altro partito non eletti e poi nominati in qualche ente pubblico. Una selezione alla rovescia che però garantisce al capo-popolo esecutori disciplinati e fedeli. Tra i professori e i dilettanti, la politica annaspa. Quella grande, alta ed efficace, che collega visione, decisione e consenso fa fatica ad emergere. La politica alta richiede conoscenza ed esperienza, passione e abitudine a sviscerare questioni complesse, oltre che la capacità di comunicare un progetto. Come ha dimostrato Obama. Lo ha detto nel discorso successivo alla vittoria. L’aspetto più affascinante della competizione politica è ispirare e unire larghe fasce di una società divisa intorno a un progetto di cambiamento. “È questo ciò che la politica può fare ed ecco perché le sfide elettorali contano. It’s not small, it’s big. It’s important”. Quella politica che a noi ancora manca.