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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

LEGA, PRIMA IL NORD POI LA SECESSIONE. CON SILVIO (SE CI STA)


È un Maroni che si mette a nudo raccontando il suo intero percorso politico, i suoi sogni, la sua progettualità, le sue sfide. Un Maroni che non si sottrae a una severa autocritica e a un’analisi lucida e impietosa del suo partito. Ma è anche un Maroni che lancia, a se stesso e alla politica italiana, una sfida durissima, dicendo chiaramente che o la Lega rinasce o è meglio chiuder bottega. È proprio la sincerità il lato migliore de Il mio Nord (scritto con Carlo Brambilla, per Sperling & Kupfer, in uscita in questi giorni), il manifesto politico con il quale il segretario del Carroccio analizza le condizioni del suo movimento dopo il terremoto che ha travolto Bossi&the Family, dopo il crollo della giunta lombarda e le tensioni col Pdl in Veneto e Piemonte. Un partito in crisi, quindi, ma soprattutto una grande incognita politica: cosa farà la Lega? Dove dirigerà la sua azione un partito che ha significato tanto per il Nord?
Nel libro di Maroni ci sono molte risposte (anche se non tutte). E molte provocazioni forti. Sorprende, da un leader di partito che è candidato alla presidenza della prima regione d’Italia, un passaggio come questo: «A Roma faccio una proposta: l’Euroregione Nord e in cambio riconosciamo lo status di mantenimento del Sud. Dobbiamo staccare l’assegno? Siamo pronti a farlo. Con gli stessi criteri di una coppia che divorzia, dove chi ha di più paga gli alimenti. Ci sono tanti modi per stabilire l’entità dell’assegno. La mia idea è semplice: ti mantengo, ma ci lasci il residuo fiscale, ovvero i tre quarti del reddito complessivo. All’Europa invece dico: l’Italia non può stare tutta nell’Europa, solo il Nord può collocarsi nell’Eurozona. La Grecia, la Magna Grecia e un pezzo di Spagna diventeranno l’area mediterranea che l’Europa, come tutti sappiamo, dovrà mantenere da qui in avanti».
Parole pesanti come pietre. L’obiettivo della nuova Lega di Maroni è ambizioso: «Diventare il primo partito in tutte le regioni del Nord, sul modello della Csu bavarese, condizione indispensabile per costituire una forte Euroregione, costituzionalmente autodeterminata». Il tutto in tre fasi: «La prima: portare la nave in salvo» dopo il terremoto che ha squassato la Lega. La seconda «è iniziata con leggerissimo anticipo, a Torino, agli Stati Generali del Nord». «La terza tappa del viaggio sarà molto lunga, tutta incentrata sul recupero (con le Politiche 2013) e sull’allargamento (attraverso le Europee del 2014) del consenso elettorale, fino all’appuntamento con il voto regionale del 2015».

Il consenso. Ma come si arriva a riguadagnare voti e fiducia? Maroni è realista: «Prima considerazione brutale: cinque anni di governo sono stati del tutto infruttuosi in termini di consenso. Seconda considerazione: la Lega non guadagna voti partecipando al governo a Roma. Terza considerazione: la Lega avanza nelle urne solo quando riesce a raggiungere chiari obiettivi prefissati». Con chi allearsi allora, per diventare la Csu del Nord? Qui, anche nel libro, vengono le dolenti note. «L’alleanza con Berlusconi e il suo partito costituisce la materia politica più critica nella storia della Lega», scrive Maroni. Il quale ammette di aver sofferto del rapporto esclusivo tra Bossi e il Cavaliere («l’asse iperverticistico Bossi-Berlusconi»), ma non chiude a future alleanze su base strettamente nordista: «La componente meridionale dello schieramento (del Pdl, ndr) ha passato anni a frapporre ostacoli di ogni genere all’avanzata del progetto di riforma dello Stato». Il partito di Berlusconi «si è bloccato per i veti di marca sudista». Un messaggio chiaro: se Silvio molla al suo destino Alfano, Dell’Utri e la componente meridionale del partito, ci sono gli spazi per una nuova alleanza. «Quella rivoluzione lanciata da Berlusconi può diventare realtà a condizione che il Nord, che la vuole, possa procedere senza dover continuamente mediare con il Sud». La Lega deve perciò ripartire «nei suoi territori: in Piemonte, Lombardia, Veneto e e Friuli», che rappresentano «una futura regione d’Europa, una vera e propria locomotiva nella produzione di ricchezza». Nel «fronte del Nord», ammicca Maroni, può stare «anche il Pdl, se “L” stesse per Lombardia invece che per Libertà sarebbe coerente con il nostro progetto».
Secondo il leader del Carroccio una «secessione morbida e individualista» è già in atto, per la fuga all’estero delle imprese più dinamiche. Di qui la necessità di far presto: «Da ora al 2015 ci sono tre anni scarsi per sviluppare il progetto egemone: o ci riusciamo o chiudiamo baracca e burattini. E succeda quel che succeda». L’appoggio al governo Monti (attuale e futuro) non c’è: «Prima il Nord, Monti a casa» è lo slogan della nuova Lega, decisamente secessionista: «Con la Nord-nazione si inizia la fase indipendentista e rivoluzionaria: il distacco di un pezzo d’Italia dal resto del Paese».

I progetti di Cota e Zaia. Si torna alla secessione quindi? Il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, illustra un piano per tappe: «Nel programma di Maroni c’è un rilancio della questione settentrionale: il Nord deve dialogare con i territori omogenei. Io sono presidente di turno dell’Euroregione Alpina Mediterranea, formata da 5 regioni. A sua volta essa aderirà al più vasto progetto di Euroregione Alpina. Le 4 regioni del Nord devono costituire una federazione ed essere coese su un punto: il 75% delle entrate fiscali deve rimanere sul territorio. Se fossimo Euroregione del Nord potremmo rilanciare l’economia con politiche fiscali concorrenziali. La politica industriale è sempre figlia di una politica fiscale efficace». Quanto alle ripercussioni della crisi in Lombardia, «in Piemonte l’alleanza col Pdl tiene: stiamo governando bene insieme, e facendo riforme forti, come il far uscire la politica dalla sanità eliminando sprechi e duplicazioni». Cota boccia però la candidatura di Albertini per la Lombardia: «Maroni è il top, spero che anche il Pdl converga». Quanto al possibile rapporto con Berlusconi, chiede elementi sicuri: «Certo che il Pdl a Roma appoggia Monti, sul territorio dice un’altra cosa. Speriamo si faccia chiarezza».
Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia è in linea: «I padri del federalismo ci insegnano che questo è centripeto, avvicina e unisce i Paesi, non divide. Il non federalismo disgrega, è centrifugo. Prova ne sia che i padri della Costituente, quando nel ’48 hanno scritto la Carta, hanno elaborato un testo che è autenticamente federalista. Einaudi diceva: a ognuno dovremmo dare l’autonomia che gli spetta. Il problema è il sistema centralista, capire che l’antidoto a ogni forza che porta alla rottura è il federalismo, ma questo l’ha detto la Lega per prima. Basterebbe applicare i dettami che sono nella Costituzione, il problema è che a Roma abbiamo persone che se ne strafregano. L’Italia è un insieme di comunità che nulla hanno a che spartire dal punto di vista storico». Il governo Monti ha segnato un arretramento sul percorso del federalismo? «Il problema è che se Mario Monti avesse approvato il federalismo, avrebbe dovuto portare in tribunale i conti delle Regioni di un terzo d’Italia, perché il federalismo comporta delle responsabilità. Come ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il federalismo non è più una scelta ma una necessità perché è un’assunzione di responsabilità, l’assunzione di costi standard nella sanità. Certo che, se tu applichi il federalismo, devi certificare che abbiamo Comuni e Regioni che sono tecnicamente falliti».

Il Nordest esasperato. In merito ai segnali di disponibilità di Silvio Berlusconi a un’alleanza nordista, «l’opzione principe della Lega resta quella di correre da sola», spiega Zaia. «Dopo di che io confermo in Veneto un ottimo rapporto con il Pdl. Per assurdo la crisi lombarda ha prodotto una certezza: la solidità del Veneto. Nel momento in cui Formigoni ha avuto un minuto de mona e ha tentato di ribaltare la sua vicenda sul Veneto, ha fallito». E gli attacchi di Galan? «La miglior risposta è ignorarlo, sa solo offendere».
Il Nordest, ammonisce Zaia, è esasperato: «Siamo una colonia alla periferia dell’impero e ne abbiamo le tasche piene. Non possiamo tollerare una tassazione che è la più alta del mondo perché qualcuno in Italia non paga le tasse o spreca i soldi. Abbiamo 162.000 disoccupati in Veneto. La gente vuole creare impresa ma è spaventata. Bisogna inasprire la lotta all’evasione arrivando all’arresto, ma in cambio ridurre la pressione fiscale e far ripartire l’economia. Il rischio è la secessione subdola e reale delle nostre imprese, che se ne vanno. E portano con sé l’occupazione e il valore aggiunto».
Il giudizio sul premier Mario Monti è severo: «È ostaggio del centralismo: sembra un curatore fallimentare più che un premier che deve rilanciare l’Italia». Sulla competizione tra Lega e Movimento 5 stelle, Zaia ironizza: «Come ai tempi di Berlusconi nel ’94, oggi si inneggia a Beppe Grillo e a Matteo Renzi. Io spero che vincano le elezioni così li vedremo alla prova. Parma non è bastata, è ora che la luna di miele termini e che siano messi alla prova». La Lega ce la farà a rinascere? «La percezione è ottima: abbiamo preso il toro per le corna e affrontato una dura purga autoimpostaci. Non abbiamo nascosto i problemi sotto il tappeto. Ci siamo messi la cenere sul capo e ora lavoriamo pancia a terra. Solo così si riparte».
Ferruccio Pinotti