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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

Daccò in catene come Carra: clima da inquisizione a Milano - L’uomo senza volto ri­mane senza volto

Daccò in catene come Carra: clima da inquisizione a Milano - L’uomo senza volto ri­mane senza volto. Di Piero Dac­cò, recordman della carcerazio­ne preventiva in questa nuova stagione di inchieste sulla poli­tica, i lettori continueranno a conoscere solo quell’unico,sfo­cato scatto che circola dai tem­pi ormai remoti del suo arresto. Ieri Daccò esce brevemente dal carcere, ma il tribunale viene blindato per impedire che i cro­nisti lo vedano. Ma una immagi­ne viene riferita, dall’interno del corridoio blindato dove si svolge l’interrogatorio di Dac­cò. Questa immagine racconta che il lobbista del San Raffaele ­condannato a dieci anni per bancarotta, ma ancora in atte­sa dell’appello - è stato portato in aula con al polso uno di que­gli attrezzi barbari che vanno sotto il nome di schiavettoni, i pesanti ceppi ai polsi con cui vengono trascinati in giro i dete­nuti. E questo flash inevitabil­mente riporta indietro l’orolo­gio di vent’anni: ai tempi di Ma­ni Pulite, quando le immagini di Enzo Carra in ceppi scatena­rono polemiche a non finire sul­l’utilizzo della galera. Enzo Carra, portavoce della Dc, venne arrestato in diretta da Di Pietro per essersi rifiutato di rispondere alle domande sul suo leader Arnaldo Forlani. Daccò è in carcere da un anno per l’in­chiesta sul mar­cio nella sanità lombarda, che vede indagato per corruzione il governatore Roberto Formi­goni. A chi lo è an­da­to a trovare in car­cere, Daccò ha fatto ca­pire chiaramente di attribuire la sua interminabile detenzio­ne ad un motivo preciso: non ha incastrato Formigoni, non ha rilasciato le dichiarazioni che avrebbero permesso alla Procura di chiudere il cerchio intorno all’inquilino del Pirello­ne. «È un caso da corte dei dirit­ti dell’uomo », tuona ieri il suo difensore Gian Piero Biancolella. In questa situa­zione che si trascina da tempo irrompe ieri mattina il caso de­gli schiavettoni. Non sono più il marchingegno di lucchetti e chiavistelli che si usava ai tem­pi di Carra, ma una sua versio­ne aggiornata: un blocco com­patto d’acciaio che si serra in­torno agli arti del malcapitato. Ed è ancora con i ceppi ai polsi che Daccò appare sulla soglia del giudice preliminare Lucia Marchiondelli, dove lo aspetta­no per una rogatoria i giudici svizzeri che indagano sul cotè elvetico dei suoi traffici. Non è raro incrociare nei cor­ridoi del palazzo di giustizia al­tri indagati, specie extracomu­nitari, con i polsi stretti nella morsa. Ma è anche vero che spesso e volentieri le esigenze della sicurezza vengono soddi­sf­atte con delle semplici manet­te, e accade a volte anche di ve­dere detenuti con le mani libe­re. Chi ha deciso, allora, che ieri il presunto complice di Formi­goni venisse portato in ceppi fin quasi nella stanza dell’inter­rogatorio? Dagli uffici giudizia­ri s­i risponde che tutto ciò che ri­guarda la custodia dei detenuti è di competenza della polizia penitenziaria e che la magistra­tura non ci mette becco. Gli schiavettoni, insomma, sareb­bero stati solo la manifestazio­ne di un eccesso di zelo non ri­chiesto. Ma l’impressione re­sta. E resta il fatto che ai polsi di Daccò si è chiuso il massiccio blocco d’acciaio. Un attrezzo così ingombrante che gli stessi uomini di scorta rimpiangono i vecchi chiavistelli: «Se un dete­nuto riesce a darcelo sulla testa ce la spacca in due», racconta un agente penitenziario. «Lo scandalo non sono solo gli schiavettoni ma una carcera­zione preventiva che dura da un anno, «una espiazione anti­cipata della pena, esiste un dirit­to di libertà e una presunzione di innocenza» dice Biancolella ai cronisti alla fine dell’udien­za. Ma arrivano i carabinieri e gli impediscono di proseguire: i ceppi sono legali, raccontarli alla stampa, evidentemente, no.