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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

ORA L’APP È FAI-DA-TE


Febbre da applicazioni. Si tratta di uno dei tormentoni ricorrenti nel campo della tecnologia insieme a quello della fine dei blog (dati più volte per morti con l’esplosione del Web 2.0 e l’arrivo dei social network ma poi periodicamente rivalutati). In attesa di conoscere la verità sui blog, gli appassionati e gli addetti ai lavori possono però consolarsi con una certezza: è decisamente arrivato ormai il tempo delle applicazioni di massa.
Lo testimoniano casi come quello di Lanfranco Villa, un ex pasticciere bergamasco che una volta in pensione non ha voluto disperdere il patrimonio di conoscenze accumulato: così prima ha aperto un blog per condividere le ricette, poi si è dato alle app. «Avevo letto che i siti erano in procinto di lasciare il passo alle applicazioni e ho quindi cercato su Internet il modo per crearne una. Pensavo fosse una cosa complicatissima, invece è stato abbastanza facile».
Così in breve tempo è nata Ricette Dolci, che con più di 200 mila download è arrivata al primo posto nella classifica delle applicazioni gratuite più scaricate dell’App Store italiano.
Il pasticciere in realtà si è fatto aiutare dal più tecnologico figlio, ma per realizzare la app nessuno dei due ha dovuto scrivere una riga di codice. Si sono semplicemente affidati a uno dei tanti servizi fai-da-te, che permettono di creare in maniera rapida, economica e intuitiva dei software per cellulare, senza conoscere la programmazione. Si tratta di servizi oggi molto utilizzati non solo da privati più o meno creativi, ma anche da piccole e medie imprese e liberi professionisti entrati in un mondo che, a causa dei costi elevati e delle difficoltà tecniche, sembrava riservato soltanto alle aziende più grandi.
In Rete se ne trovano parecchi: da App Inventor del Mit di Boston, che ha preso in mano e proseguito lo sviluppo di un progetto iniziato qualche anno fa da Google (funziona solo con cellulari Android) fino ad a AppMakr, Conduit Mobile, Game Salad, Magmito e iBuild App, giusto per fare qualche nome.
Ad accomunare la maggior parte di questi servizi è il modello di business: invece di far pagare un fisso per lo sviluppo dell’app, preferiscono chiedere un canone mensile, il cui ammontare varia in funzione del tipo di opzioni prescelte. Si parte, nelle versioni base, da zero dollari con AppMakr, nella versione con inserto pubblicitario, per giungere ai 29 dollari al mese del listino Conduit passando per i 5 dollari una tantum per un’app di 10 pagine, più 5 dollari mensili per gli aggiornamenti, chiesti da Magmito. Fino ad arrivare ai 600 dollari mensili per la versione "Enterprise", sempre di Magmito. Fa eccezione in questo panorama App Inventor, che è gratuito e open source.
La scelta dipende molto dal tipo di utilizzo che si intende fare dell’applicazione: si può crearne una per condividere conoscenza e acquistarne in prestigio, come nel caso di Ricette Dolci; si può promuovere un proprio servizio, come fa il signor Giovanni, un tassista che, dalla sua base di Santa Margherita Ligure, trasporta turisti e viaggiatori da e per l’aeroporto, e verso le località limitrofe della riviera, e si fa pubblicità non soltanto tramite il sito Web, ma anche con un’applicazione scaricabile dal negozio virtuale di Apple e dal Play Store di Google. Oppure si può cercare di guadagnarci, approfittando delle possibilità di un mercato in crescita, in cui al crescente numero di utenti si accompagna un’elevata disponibilità a mettere mano al portafogli, purché naturalmente si tratti di piccole somme com’è tipico di tutte le applicazioni.
È accaduto ai fratelli Nicolas e Diego Palacios, due studenti cileni di economia che hanno realizzato un gioco gratuito per iPhone incentrato sulle avventure di un maialino. Nel 2011, ePig Dash, questo il nome dell’app, dopo essere stato scaricato più di 500 mila volte, è balzato al numero uno dell’App Store locale, detronizzando lo stracelebrato Angry Birds.
Il successo ha consentito ai due di fondare, assieme al grafico Andres Cortes, la società di videogiochi ePig Games e di ricevere un premio di 40 mila dollari riservato alle imprese particolarmente promettenti dal governo cileno. Il tutto conoscendo poco o nulla di programmazione, ma con l’aiuto del servizio fai-da-te Game Salad, che nella versione base è gratuito e in quella Pro costa 300 dollari l’anno.
Quello dei Palacios è un caso abbastanza eccezionale, ma molti sviluppatori amatoriali sognano di avere anch’essi il loro momento di gloria e soprattutto di remunerazione. I numeri sono incoraggianti: secondo la società di analisi Flurry a luglio 2012 nel mondo c’erano 640 milioni di dispositivi (smartphone e tablet) con sistema operativo iOs o Android. Sempre secondo Flurry, il volume di affari del mercato delle app, a livello mondiale, nel 2011 era di 5,5 miliardi di dollari, che diventeranno quasi 9 miliardi nel 2012, se verrà mantenuto l’attuale tasso di crescita. «In Italia», spiega Andrea Rangone, responsabile dell’Osservatorio Mobile Marketing del Politecnico di Milano,«il fatturato mobile nel 2011 è stato di 82 milioni di euro, di cui 70 milioni da pagamenti diretti e 12 dai banner pubblicitari. E quando tireremo le somme alla fine del 2012 probabilmente ci attestermo su una crescita complessivadel 70 per cento circa rispetto all’anno precedente».
Logico quindi che, anche nel nostro Paese, qualcuno abbia da tempo intravisto un’opportunità di business. Non soltanto nella creazione di app, come i Palacios e i loro emuli, ma pure nella creazione di strumenti che aiutino a creare quelle stesse app senza bisogno di masticare codice, sul modello dei servizi stranieri sopra citati.
Come AppDoIt, che è stato messo a punto dall’azienda Applix, fondata a Cagliari: è quella di cui si sono serviti anche il pasticciere Villa e il tassista Giovanni per creare le loro app. «Siamo nati nel 2010», racconta oggi il responsabile marketing Emilio Vignapiano, «partendo da due assunti principali: primo, le persone hanno sempre più di frequente lo smartphone o il tablet in mano; secondo, verrà il momento in cui, oltre a fruire dei programmi che sono sul telefonino, vorranno essere presenti con le loro attività commerciali senza necessità di sviluppare in proprio. Oggi sulla nostra piattaforma vengono create un migliaio di applicazioni al mese, non soltanto da parte di piccole aziende, ma anche da grandi clienti come Seat». L’azienda è composta da più di 40 persone suddivise tra il centro di sviluppo che si trova in Sardegna, l’unità di Gorgonzola (alle porte di Milano) e le sedi commerciali che sono state aperte a Shanghai, Philadelphia, Santa Monica e New York.
Italiana è anche AppsBuilder, società nata anch’essa nel 2010 per iniziativa di due ex studenti del Politecnico di Torino, Daniele Pelleri e Luigi Giglio, e sostenuta da due dei principali gruppi di venture capital della Penisola, Annapurna e Net Value, che hanno creduto e investito nel progetto sia dal punto di vista finanziario che in competenze e network. Oggi AppsBuilder propone a privati e aziende di «trasformare in pochi minuti siti web e contenuti media in applicazioni interattive e coinvolgenti» per ogni terminale (dall’iPad agli smarphone con Android) e con prezzi che vanno dai 19 ai 49 euro al mese per il fai-da-te, con un mese di prova gratuito.
Entrambe le aziende comunque propongono diversi piani tariffari che partono dalla semplice realizzazione della versione in linguaggio Html 5 del sito, ottimizzata per la consultazione in mobilità e includono via via l’inserimento nei principali store, le statistiche, alcune opzioni di monetizzazione e la rimozione del logo, fino ad arrivare alla progettazione completa con il pacchetto "senza pensieri di AppDoIt".
«Crediamo che le app saranno un prodotto di consumo di massa», spiega Pelleri di AppsBuilder: «Ogni evento, ogni fiera, ogni scrittore, ogni artista che voglia promuovere i propri contenuti presto o tardi vorrà creare la propria applicazione». In linea con questa filosofia AppsBuilder, a fine settembre, in partnership col ministero dell’Istruzione, lancerà un progetto educativo nelle scuole, per insegnare agli studenti a sviluppare un’app fai-da-te.
Più pragmatico Vignapiano di Applix: «Non credo che un domani chiunque vorrà creare la propria applicazione, vuoi per mancanza di disponibilità di tempo o di risorse; quello che offriamo è un servizio per lo più commerciale, per le aziende che hanno qualcosa da comunicare. Per esempio, c’è un bar di Berlino che inserisce nell’applicazione tutti gli eventi musicali, il calendario, podcast con dei pezzi dal vivo; in questo modo è riuscito a normalizzare la curva degli accessi, prima c’erano giorni in cui c’era il pienone di clienti e giorni vuoti, ora ci sono ancora i picchi, ma sono diminuite le serata vuote».
«Attenzione», avverte però Rangone: «Oggi non c’è una risposta univoca alla domanda "perché devo creare una mia applicazione". Dipende dal tipo di azienda e dagli obiettivi che si prefigge. E se è vero che essere presenti può garantire degli interessanti ritorni, monetari o di immagine, occorre farlo in maniera oculata, con un prodotto curato, altrimenti si rischia di dare un’impressione negativa e controproducente».