Andrea Pasqualetto, Corriere della Sera 09/11/2012, 9 novembre 2012
QUEI BABY CALCIATORI LICENZIATI CON UNA LETTERA
Quel giorno Paolino ha trovato una busta chiusa sul tavolo del salotto, indirizzata a lui. La prima lettera dei suoi otto anni di vita. «Con la presente — c’era scritto — ti ringrazio per aver fatto parte, nella stagione sportiva 2011-2012, della nostra società. Purtroppo siamo costretti a comunicarti che per la prossima stagione sportiva 2012-2013 non siamo in grado di darti la possibilità di continuare con noi la tua attività sportiva. Nell’augurarti le migliori fortune sportive colgo l’occasione per porgerti i miei più cordiali saluti». Firmato Spartaco Ventura, presidente del calcio San Giovanni di Trieste: la squadra di Paolino, la sua passione, il suo sogno. Papà Daniele l’ha visto andare nella cameretta, dove i colori sono quelli della Juve e i poster quelli di Buffon: «È uscito dopo due ore — racconta il genitore —: "Non voglio più giocare a calcio, non voglio più fare niente", mi ha detto. Era stato scartato forse perché troppo basso per fare il portiere. Mi chiedo: sarebbe questa la sua colpa? Quella di non essere abbastanza bravo al gioco del calcio? Io non lo portavo perché diventasse un Kakà, un Messi, un Ronaldo. No, solo per divertirsi e per stare con gli altri, per vivere lo spirito di gruppo, per imparare a essere leale». Con il baby portiere del San Giovanni, altri cinque «pulcini» hanno ricevuto lo stesso benservito. «Mio figlio ne ha fatto un dramma — assicura Cesare Lenzi —. Ho cercato di calmarlo, di dirgli che poteva comunque andare in un’altra società: niente. "Non voglio giocare contro i miei amici". Capito? Con il San Giovanni sì, da avversario no. Pian piano l’ho convinto a fare atletica, visto che è rimasto incantato dalle Olimpiadi».
La domanda è dunque quella: possibile che già a questa età, quando i bambini iniziano a tirare i primi calci al pallone, si facciano selezioni del genere, che ci sia un fuori squadra, un fuori rosa, un "libero di accasarsi altrove" come si conviene a un Del Piero, a un Seedorf o a un Julio Cesar con tanto di cordiali saluti, quando la stessa Federcalcio invita le società a non fare selezioni fino ai 12 anni? E la mission sociale?
Abbiamo chiesto lumi al presidente del San Giovanni, quello Spartaco Ventura che ha spedito le missive: «La ragione non è tecnica, di bravura. La mia scelta è stata dettata da un’esigenza: quella di ridurre il numero dei piccoli calciatori della società per il fatto che non eravamo più in grado di seguirli tutti. Mancavano gli allenatori e quindi bisognava asciugare la rosa. I nomi li ho scelti considerando quindi altri parametri. In ogni caso, dopo il 30 giugno di ogni anno, come i bambini e i genitori sono liberi di cambiare società, anche la società è libera di fare le sue scelte. Ricordo poi che, se al sottoscritto prende un colpo, non ne restano a casa 6 ma 200».
Parole non proprio riconcilianti, quelle di Ventura. «Invece di chiedere scusa, ferisce un’altra volta», si scalda papà Cesare. «Ho già mandato una lettera alla Federazione, ci sarebbero gli estremi per la procura federale», rilancia papà Daniele. E sono pietre anche dal fronte dell’analisi psicologica della vicenda. Con Vera Slepoj, già psicoterapeuta del Palermo Calcio, che dopo aver premesso come «a quell’età la competizione sia comunque legittima e anche il fallimento sportivo, che però dev’essere supportato da un allenatore in modo che si traduca in una risorsa», bacchetta le modalità di comunicazione: «Mi sembra che questo presidente abbia preso troppo seriamente il proprio ruolo. La lettera è quasi quella di un datore di lavoro a un dipendente. Non è giusto chiudere un rapporto con un bimbo come se la sua fosse un’attività professionale. A quell’età il calcio è gioco, niente di più. Comunque, la forma sbagliata può essere sempre sanata dai genitori». Infatti il padre di Paolino ha già piazzato il suo piccolo fra i pali del San Luigi. Che ora aspetta al varco il San Giovanni di Spartaco.
Andrea Pasqualetto