Ernesto Galli Della Loggia, Corriere della Sera 09/11/2012, 9 novembre 2012
I TECNICI, I NOTABILI E IL VUOTO POLITICO
Ha senz’altro ragione Michele Salvati quando sottolinea come dietro lo spazio che tecnici e notabili stanno acquisendo in questo Paese c’è il grande problema del vuoto politico di cui soffre l’Italia. È così. Tuttavia non confonderei i due ambiti, come mi pare egli tenda a fare; penso che tecnici e notabili siano due cose distinte che quindi richiedono — almeno
in generale: da noi come dirò le cose si complicano — un giudizio distinto.
Mi aiuterò con un esempio: quello degli Stati Uniti. Lì accade spesso che il Presidente chiami come suoi ministri, specie per certe amministrazioni, dei tecnici. Cioè delle persone dotate di competenze professionali specifiche, spesso testimoniate da carriere di prestigio in ambito privato ma non solo. Le quali, al termine del mandato politico-governativo, tornano alle loro attività abituali o ad altre che comunque nulla hanno a che fare con la politica. Si veda, tanto per fare un esempio, il caso di Condoleezza Rice. A me pare che il nostro attuale presidente del Consiglio incarni precisamente una figura di tal genere. Economista di valore, conosciuto a apprezzato negli ambienti internazionali, proprio per le sue capacità e la stima di cui gode è stato chiamato a dirigere il governo in un momento di drammatica crisi finanziaria, mentre in un modo o nell’altro tutte le forze politiche facevano un passo indietro. E da allora ha ripetuto fino alla noia che non intende presentarsi per un prossimo incarico di governo. Che cos’ha del notabile una personalità del genere? A me pare proprio nulla.
Il notabile, infatti, si presenta nella vita pubblica italiana secondo una delle due fattispecie seguenti. La prima — diffusissima — è quella che potrebbe definirsi «dentro una volta, dentro per sempre». Si tratta di coloro i quali, magari sulla base di una consolidata notorietà professionale entrano in politica, cioè vengono cooptati in Parlamento da un partito; ma che terminato il passaggio parlamentare, però, lungi dal tornare alle loro attività fanno di tutto per restare vita natural durante nella variegata sfera degli incarichi pubblici gestiti dalla politica, o meglio dati in appalto alla lottizzazione dei medesimi. Penso ad esempio ad un pur bravo scienziato come Luigi Nicolais, nominato non molto tempo fa presidente del Cnr mentre era ancora deputato e dopo essere stato addirittura segretario provinciale del Pd a Napoli; o a un economista come Antonio Marzano, fondatore di Forza Italia, più volte parlamentare, ministro, e in seguito dirottato alla presidenza del Cnel. L’intercambiabilità continua e la sovrapponibilità dei ruoli; per decenni non uscire mai dal «giro»; passare disinvoltamente da ministro a presidente della Biennale, da presidente di un’Authority a ministro e così via ma restando in vario modo sempre in carico alla politica e con un inevitabile svaporamento di qualunque specifica competenza: questo è il modello, tutto italiano, del notabile in servizio permanente effettivo (come altro bisogna chiamarlo, se no?). Tra livello centrale, regionale, provinciale e comunale, migliaia e migliaia di persone.
Complementare e in certo senso preliminare a questa ora detta, è la seconda fattispecie. Quella di coloro che hanno dalla loro non tanto una qualifica tecnica quanto una notorietà sociale; che sono espressione di «ambienti», di filiere di interessi, di organizzazioni che contano. I quali non decidono già di entrare in politica con una propria formazione ovvero aderendo a una già esistente, ma — approfittando della delegittimazione del ceto politico tradizionale — si dichiarano per l’appunto genericamente «disponibili»: disponibili in sostanza a prenderne il posto. Anche se, beninteso, con l’avallo e grazie all’aiuto di quel ceto politico stesso, offrendosi graziosamente alla cooptazione da parte sua: non certo affrontando in prima persona il durissimo lavoro di un’attività politica vera e propria. Quasi sempre neppure manifestando apertamente dove, e soprattutto in qual modo, intenderebbero condurre il Paese: forti esclusivamente della loro notorietà che ne fa, per l’appunto, dei «notabili», se non piace «a disposizione» diciamo allora «disponibili».
A me pare lecito se non altro chiedersi se tutto ciò sia normale o non incarni un aspetto profondamente patologico della nostra vita democratica. Se non altro chiederselo: la risposta che conta, come ovvio, è solo quella dei cittadini.
Ernesto Galli Della Loggia