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 2012  novembre 09 Venerdì calendario

DA ROVER A VAUXHALL IL SEGRETO DEGLI INGLESI

«Un’altra clausola dell’accordo sta entrando in vigore, prevede turni su quattro giorni alla settimana per dieci ore, invece del "cinque per otto" di oggi. E questo comporterà un significativo risparmio sui costi di produzione». Duncan Aldred, ceo di Vauxhall, il brand General Motors nel Regno Unito, indugia sui nuovi dettagli dell’intesa fra impresa e sindacati siglata a primavera e considerata la più moderna mai raggiunta in Gran Bretagna nel settore auto. Buona abbastanza, almeno, per scongiurare la chiusura di una fabbrica storica. Ellesmere Port ce l’ha fatta, s’è garantita la produzione della nuova Astra per i prossimi quattro anni e il destino più infausto ripiega ora sugli impianti del gruppo americano a Bochum, in Germania. Leonardo Maisano LONDRA. Dal nostro corrispondente Londra consolida le proprie quote di produzione automobilistica in Europa e al caso GM affianca ora quello, molto più sorprendente, di Jaguar Land Rover che a Halewood lavora da fine settembre 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana sfornando un’auto ogni 77 secondi sull’onda di una richiesta senza precedenti, con dodici mesi di attesa per la Evoque. Un’eccezione, a queste latitudini, se è vero che nelle catene di montaggio del Merseyside l’ultimo turno di notte risaliva agli anni Novanta. Passaporto straniero Lampi di boom nel depresso contesto della manifattura britannica e nell’ancor più triste quadro dell’automotive europeo. Boom con la B maiuscola. Le immatricolazioni nel Regno, secondo gli ultimi dati di Acea, sono cresciute dell’8% a fronte di una media europea di meno 10 per cento. E ancor più boom, se si considera che nel 2012 il settore chiuderà in Gran Bretagna in surplus commerciale per la prima volta dagli anni Settanta. Numeri da nani se raffrontati con quelli dei giganti continentali (la produzione britannica è 1,4 milioni di auto l’anno, una frazione di quella tedesca). Nani con passaporto straniero. Londra, infatti, non ha più campioni nazionali nell’automotive controllato da giapponesi, indiani, americani. «Mi creda - precisa un alto funzionario ministeriale che chiede l’anonimato - la proprietà straniera degli impianti è uno dei motivi del successo». Né basta il caso Ford, emerso nei giorni scorsi, per ridimensionarlo. Il taglio di un migliaio di posti di lavoro, al netto delle ricollocazioni, deciso dal gruppo Usa non pregiudica la presenza nel Regno Unito di Ford, colosso che continuerà ad occupare circa 15mila persone rimanendo il primo employer del settore. Industria e relazioni sindacali La controtendenza dell’industria automobilistica britannica rispetto all’Europa continentale è fenomeno macroscopico. Le ragioni si leggono fra le pieghe della storia e delle relazioni sindacali, ma anche della finanza. «A favore del Regno pesa indubbiamente l’effetto pound che si è indebolito dal credit crunch ad oggi. È moneta di un Paese considerato "sicuro", nel contesto della crisi dell’euro. Ma sarebbe ingeneroso fermarsi qui». Secondo Duncan Aldred la forza lavoro qualificata fu elemento chiave per attrarre gli investimenti di Nissan e Toyota negli anni Ottanta. «Arrivarono in coincidenza - aggiunge - con le riforme del mercato del lavoro volute da Margaret Thatcher. A tutto ciò, ora, si è aggiunta la volontà di questo Governo di ricreare la base manifatturiera perduta. Lo fanno con strumenti come l’Automotive council che avvicina esecutivo, costruttori e industrie dell’indotto, spinte a crescere per far fronte a forniture che sono in gran parte d’importazione». L’industria automobilistica con aerospazio e bioscienze è il settore prescelto dall’esecutivo di David Cameron per riequilibrare un’economia ancora troppo inclinata sulla finanza. Debolezza della sterlina e determinazione del Governo bastano davvero per spiegare quanto accade oltre la Manica? «No - precisa John Leech responsabile del settore automotive Uk di Kpmg - la prima ragione è quella che si legge nell’intesa di Ellesmere Port: la flessibilità del lavoro. Sei miliardi di pound in diciotto mesi investiti dall’estero - essendo tutte straniere le aziende del settore - si spiegano soprattutto così. In questa ottica l’accordo di GM è certamente il più avanzato». I passaggi chiave li riassume Duncan Aldred. «È intesa quadriennale, con salari bloccati per due anni e altri due con copertura dell’inflazione. Prevede 51 settimane di lavoro l’anno aggirando i problemi della chiusura estiva. C’è il cosiddetto corridor agreement con la possibilità di recuperare le ore non lavorate: in altre parole i lavoratori sono retribuiti sempre anche quando la produzione cala e non sono impegnati. In cambio accettano di fare turni extra, quando necessario, senza costi ulteriori. Nelle prossime settimane, come dicevo, i turni saranno su quattro giorni per dieci ore. Le stesse norme sono ora state estese agli impianti di Luton». Intese innovative Dall’altra parte del tavolo dell’immaginario confronto che abbiamo allestito siede Tony Woodley, una vita da chief negotiator del sindacato Unite, l’uomo che l’intesa di Ellesmere Port l’ha trattata con GM. Concorda anche lui: è assolutamente innovativa. Nega che i diritti dei lavoratori siano stati liquidati, sfata l’adagio secondo cui il Regno Unito sia terra di delocalizzazione in nome dell’azzerata conflittualità sindacale, crede che i modelli nuovi siano, come nel caso della Evoque di Land Rover, il vero segreto del successo britannico e aggiunge: «La cosa più importante per me era tenere aperto l’impianto. Ancor più, se vuole, della tutela dei diritti dei lavoratori assunti o di quelli che grazie a questa intesa saranno assunti perché resto convinto che per vincere la partita sia indispensabile essere in campo. Bisogna far sudare le macchine e con tre turni lo faremo, così si potranno proteggere impianti e operai. Abbiamo fatto concessioni sul breve in cambio di benefici sul lungo periodo. Un esempio? Per la prima volta in questo Paese è stata firmata un’intesa pluriennale con valore legale: se GM la farà saltare dovrà indennizzare interamente ogni singolo lavoratore. La capacità sarà massimizzata e questo porterà nuova occupazione (700 assunzioni, n.d.r.). L’aspetto più doloroso? Per me è stato accettare la fine del patto previdenziale aziendale per i neoassunti. Le retribuzioni sono state congelate, ma ci sono premi legati all’introduzione del terzo turno». Come dire: lo ha firmato e tornerebbe a firmarlo convinto com’è della bontà dell’intesa. Vince la flessibilità «Lei mi chiede se è tutto qui l’arcano dell’automotive britannico? No - replica John Leech - ci sono altre ragioni, minori però, perché la flessibilità resta la principale. Ellesmere Port è oggi, in termini finanziari, un terzo più produttivo di prima, anche se pesano, certo, i Paesi di destinazione. Metà della produzione britannica di auto è destinata a mercati emergenti, i più interessati ora a veicoli costosi. Jaguar Land Rover per esempio vede aumentare del 20% l’export in Cina. Quanto ai campioni nazionali concordo con gli scettci: aiuta non averli perché affranca le imprese dalla pressioni dei Governi, lasciandole libere nella pianificazione di prodotti e strategie».