Sara Bennewitz, la Repubblica 9/11/2012, 9 novembre 2012
TROPPI EREDI, MEGLIO OGNUNO PER SÉ COSÌ ABBIAMO SALVATO LE AZIENDE
Gaetano Marzotto, nome del fondatore e primo esponente della sesta generazione, è amareggiato e stupito per la vicenda che riguarda i cugini - indagati per un’evasione fiscale da 65 milioni - ma respinge le critiche dello zio Pietro che ha lottato per tenere unito il gruppo e garantire una successione che non c’è stata, perché ha prevalso la logica della spartizione.
Suo zio Pietro ha detto che la famiglia è stata «frantumata dagli errori», cosa ne pensa?
«È un’affermazione che non condivido, il mio ramo è molto unito anche con altri rami di cugini. Anzi credo che oggi siamo uniti anche perché abbiamo scelto liberamente cosa fare della nostra eredità, seguendo ognuno i propri interessi e le proprie inclinazioni. Una situazione che preferisco, anche pensando ai miei figli e alle future generazioni, rispetto a un trust familiare, dove tutti sono costretti a rimanere insieme con piccole quote amministrate da un “lider maximo” che stabilisce i dividendi e la visione. Basta pensare a quello che è successo ai Gucci».
Come ha reagito all’indagine per una presunta evasione fiscale legata alla vendita di Valentino che riguarda alcuni dei suoi cugini?
«Sono stupito e amareggiato. Da mio nonno Gaetano in poi, la mia famiglia ha sempre avuto una cultura liberale basata su un forte rispetto delle regole, pertanto non riesco a credere a questa vicenda e che riguarda alcuni dei miei cugini, tra cui in particolare i figli dello zio Giannino, a cui sono molto legato. Ho però una grande fiducia nelle autorità e confido che tutta la vicenda sarà chiarita al più presto ».
Cosa vuol dire fare l’imprenditore in una grande azienda familiare non sempre unita?
«Intanto, sono molto grato a mio nonno, a mio padre Vittorio e ai suoi fratelli che ci hanno consegnato un gruppo solido. Detto
questo trovo normale che quando c’è un passaggio generazionale, perché alcuni dei capostipiti sono venuti a mancare, ci sia anche una divisione di attività e ruoli secondo gli interessi e le capacità di ciascuno. Alla sesta
generazione eravamo oltre una ventina di cugini e tutti, a vari livelli, abbiamo continuato a fare gli imprenditori con impegno e sacrificio. Dal 2005 a oggi in Zignago abbiamo investito centinaia di milioni creando oltre 300 posti di lavoro. E anche in tempi di crisi continuiamo a investire perché
crediamo nell’azienda, negli uomini che ci lavorano e nei prodotti che realizza».
Voi avete diviso, ma suo nonno Gaetano alla quarta generazione ha riunito tutto il gruppo sotto la sua guida...
«Vero, mio nonno è stato un visionario e un imprenditore eccezionale,
ma allora fare industria era molto diverso, e la pressione fiscale era il 15% contro il 45 % di adesso. Inoltre mio nonno ha avuto sette figli e già la quinta generazione si era spartita i ruoli tra tessile,
alberghi, vino e vetro».
Tra questi, è stato suo zio Pietro a creare la Marzotto che avete ereditato con Valentino e Hugo Boss...
«Mio zio tra gli anni ‘70 e ‘90 è stato bravissimo a gestire le attività tessili e ha avuto il coraggio di acquistare Hugo Boss, un’operazione che ha proiettato il gruppo in una nuova dimensione, quella dell’abbigliamento. Ma se come aveva proposto lui, avessimo acquistato Hdp, allora sì che la famiglia si sarebbe frantumata...».
Il divorzio non risale al naufragio della fusione inversa tra Marzotto e Zignago?
«Alcune divergenze si erano già manifestate. Peraltro nel 2002 quell’operazione fu proposta proprio da Pietro, che poi quando vide che l’esecuzione era difficoltosa e sgradita al mercato, fu il primo a disconoscerla. Da allora tutti insieme abbiamo cercato il modo di dividerci con intelligenza i vari ambiti di attività, facendo una serie di operazioni trasparenti e nell’interesse di tutti gli investitori».
Qualche parente non la invidia per avere reinvestito in Valentino, con laute plusvalenze?
«Non direi, chi ha venduto ha incassato liquidità che ha reinvestito come voleva. Dieci anni fa Marzotto pagò Valentino 240 milioni, prezzo che allora sembrava folle perché il gruppo ne fatturava 140 e ne perdeva 40 di Mol. Poi nel 2007 qualcuno ha preferito vendere a Permira, mentre noi abbiamo reinvestito al suo fianco, ristrutturato e ricapitalizzato l’azienda, che ora è stata venduta a circa 610 milioni. Con fatica e impegno abbiamo triplicato il valore dell’investimento garantendo a Valentino un futuro promettente. Ma chi di noi avesse investito in Apple avrebbe guadagnato dieci volte, e senza grossi sforzi».